Cosa abbiamo in comune io e Sam Mendes? Alcune cose, per esempio io scrivo di un film girato da lui, cosa credo rilevante per me ma non per lui, ma abbiamo anche in comune anche i racconti della Grande Guerra fatti dai nostri nonni. Gran bella storia quella raccontata nel film “1917”, che Mendes ha avuto in eredità dal nonno Alfred, impegnato sul fronte delle Fiandre.

Due giovani caporali britannici Schofield (George MacKay) e Blake (Dean-Charles Chapman), vengono incaricati di portare un messaggio, alla prima linea del fronte, che ordina al battaglione “Devon” di rinunciare ad un attacco già programmato contro i tedeschi, poiché è pronta per loro un’imboscata da parte dell’esercito nemico. Nel battaglione “Devon” pronto all’attacco, tra i 1.600 soldati, vi è anche il fratello di Blake, Joseph (Richard Madden), maggiore dell’esercito.

 

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Un’impresa quasi disperata che si concluderà con successo, ma che vedrà la morte di Blake. Si potrebbe pensare al solito film di guerra, anche se il genere sembra avere meno successo che in passato, a tutto vantaggio delle pellicole dell’inguardabile catastrofismo planetario. Sam Mendes però sembra voler osare: il film è un infinito piano-sequenza, che ha inizio nella trincea della retroguardia e termina dopo centodieci minuti, senza che mai i due protagonisti, poi il solo caporale Schofield, escano dalla inquadratura.

E qui qualche osservazione bisogna farla. André Bazin, si interrogò sul senso del cinema di ricostruzione storica, con il celebre dubbio “Cosa ci fa qui la macchina da presa?” Effettivamente, benché il film sia di grandissima qualità, qualche rischio lo si corre e qualche domanda sorge spontanea: la ripresa, quasi “in soggettiva”, è adatta a raccontare una storia della Prima Guerra Mondiale? Il ritmo delle riprese, il correre dalla “steadycam” nel labirinto delle trincee, ci restituisce la patina della storia che inevitabilmente cerchiamo in un film su una guerra di più di cento anni fa?

Qualche dubbio era lecito averlo, anche se l’avvincente racconto di Mendes lo fuga completamente già dopo qualche minuto. A voler essere pignoli, l’attraversamento delle rovine della città, crea un po’ un effetto-videogioco che si sarebbe potuto evitare, anche perché nulla aggiunge al ritmo quasi perfetto del film.

E la guerra? La guerra è quella orribile cosa di sempre. Non nascondo che fa un certo effetto seguire la corsa di questi due ragazzi inglesi costretti a scontrarsi, in maniera incredibilmente cruenta, con altri ragazzi tedeschi, e fa effetto vederlo proprio oggi, primo febbraio 2020, primo giorno in cui il sovranismo ha voluto staccare la Gran Bretagna dal resto d’Europa.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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1917

Cosa abbiamo in comune io e Sam Mendes? Alcune cose, per esempio io scrivo di un film girato da lui, cosa credo rilevante per me ma non per lui, ma abbiamo anche in comune anche i racconti della Grande Guerra fatti dai nostri nonni. Gran bella storia quella raccontata nel film “1917”, che Mendes ha avuto in eredità dal nonno Alfred, impegnato sul fronte delle Fiandre. Due giovani caporali britannici Schofield (George MacKay) e Blake (Dean-Charles Chapman), vengono incaricati di portare un messaggio, alla prima linea del fronte, che ordina al battaglione “Devon” di rinunciare ad un attacco già programmato contro i tedeschi, poiché è pronta per loro un’imboscata da parte dell’esercito nemico. Nel battaglione “Devon” pronto all’attacco, tra i 1.600 soldati, vi è anche il fratello di Blake, Joseph (Richard Madden), maggiore dell’esercito.   [the_ad id="62649"]   Un’impresa quasi disperata che si concluderà con successo, ma che vedrà la morte di Blake. Si potrebbe pensare al solito film di guerra, anche se il genere sembra avere meno successo che in passato, a tutto vantaggio delle pellicole dell’inguardabile catastrofismo planetario. Sam Mendes però sembra voler osare: il film è un infinito piano-sequenza, che ha inizio nella trincea della retroguardia e termina dopo centodieci minuti, senza che mai i due protagonisti, poi il solo caporale Schofield, escano dalla inquadratura. E qui qualche osservazione bisogna farla. André Bazin, si interrogò sul senso del cinema di ricostruzione storica, con il celebre dubbio “Cosa ci fa qui la macchina da presa?” Effettivamente, benché il film sia di grandissima qualità, qualche rischio lo si corre e qualche domanda sorge spontanea: la ripresa, quasi “in soggettiva”, è adatta a raccontare una storia della Prima Guerra Mondiale? Il ritmo delle riprese, il correre dalla “steadycam” nel labirinto delle trincee, ci restituisce la patina della storia che inevitabilmente cerchiamo in un film su una guerra di più di cento anni fa? Qualche dubbio era lecito averlo, anche se l’avvincente racconto di Mendes lo fuga completamente già dopo qualche minuto. A voler essere pignoli, l’attraversamento delle rovine della città, crea un po’ un effetto-videogioco che si sarebbe potuto evitare, anche perché nulla aggiunge al ritmo quasi perfetto del film. E la guerra? La guerra è quella orribile cosa di sempre. Non nascondo che fa un certo effetto seguire la corsa di questi due ragazzi inglesi costretti a scontrarsi, in maniera incredibilmente cruenta, con altri ragazzi tedeschi, e fa effetto vederlo proprio oggi, primo febbraio 2020, primo giorno in cui il sovranismo ha voluto staccare la Gran Bretagna dal resto d’Europa.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.