L’emergenza coronavirus, che ha costretto l’Italia all’isolamento totale, come viene percepito dei Paesi stranieri? Questa situazione è davvero vista come un’epidemia globale? Quali misure vengono messe in atto nel resto del mondo? E come viene vista l’Italia nella sua trincea di dolore? L’abbiamo chiesto ad alcuni novaresi che vivono e lavorano da anni all’estero, a cominciare da Stefano che risiede a Londra con la moglie e due figli piccoli.
«Qui la gente non è nel panico – racconta – ma è preoccupata: i supermercati iniziano ad avere alcune sezioni svuotate. Il giorno dopo ritrovi i prodotti essenziali senza problemi, ma è evidente che si comincia a mettere da parte provviste in caso di dover rimanere in isolamento a casa. Ciò che non si trova più è il gel igienizzante per le mani (ho avuto la fortuna di trovarne uno per bambini, probabilmente inutile perchè senza alcool) e i generi che più vengono acquistati sono pasta, riso, farina e sapone.
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Per quanto riguarda il lavoro «molte compagnie fanno lavorare da casa: io, per esempio, ho iniziato a usare la bicicletta per spostarmi in modo da evitare la metro che non è comparabile a quella di Milano: qui ci sono decine di linee dove normalmente le persone stanno in piedi ammassate respirandosi addosso. La sensazione è che il governo si stia adoperando per fronteggiare la crisi economica, ma la parte sanitaria sia fortemente sottovalutata perchè si ritiene di non aver commesso gli errori dell’Italia: stanno andando contro un muro convinti che l’airbag funzioni perchè una frenata brusca spaventerebbe la popolazione. Temo che a breve in Europa ci saranno situazioni anche peggiori di quelle del nostro Paese. La speranza è che appena sarà passata in Italia, saranno i medici italiani a essere mandati ad aiutarci come quelli cinesi che stanno arrivando ora in Italia. Anche perchè il sistema sanitario inglese non è certamente all’altezza di quello italiano».
E poi una nota al Paese di origine: «La situazione italiana è percepita come grave dagli inglesi, sono molto dispiaciuti e non ho visto episodi di razzismo. Io sono molto affranto e preoccupato, ma ancora di più mi preoccupa la leggerezza degli altri Stati».
Anche Emanuele, che vive e lavora a Londra da anni, riporta le stesse ansie e preoccupazioni, a cominciare dal sistema sanitario: «Alcuni ospedali hanno cominciato a mobilitarsi, ma bisogna capire che non sono come i nostri: il personale è valido, ma non le strutture. Se andiamo avanti di questo passo, tra una settimana le terapie intensive saranno al collasso. L’approccio generale è “Ma è solo un’influenza, state a casa e copritevi” e la gente si è fermata al “Ma è solo un’influenza” non capendo la matematica elementare: sarà anche solo un’influenza, ma l’1% di 10.000 che prende la polmonite fa 100 persone che finiscono in ospedale».
«Il governo – prosegue – è passato dalla fase 1 wash your hands (lavati le mani) alla fase 2 don’t go out if you’re sick (non uscire se sei malato). Il problema è che qui nessuno se ne rende conto, la vedono come una cosa lontana, tanto è in Italia: non c’è nessun controllo all’aeroporto, se stai male chiami il 111 e ti dicono di stare a casa e coprirti; non hanno la minima idea di quanti contagi ci siano effettivamente perchè non controllano, solo gli stranieri come me si preoccupano perchè hanno notizie da casa».
«I britannici sono così – prosegue Emanuele – se ne fregano: corse di cavalli di ieri con migliaia di persone, tutti allo stadio a vedere il Liverpool in Champions, pub affollati di gente. Però nei supermercati si fanno scorte: ormai è impossibile trovare l’amuchina e la carta igienica, dicono addirittura che il disinfettante non lo consegnino più».
Tutt’altra storia, invece, in Canada: «L’Italia è sulle prime pagine dei giornali – racconta Marzia – e di conseguenza c’è un po’ di preoccupazione, per ora niente panico, ma abbiamo indicazioni di fare la spesa per 15 giorni, non si sa mai. Qui il virus è poco diffuso, ma ci stiamo già preparando in caso di emergenza: il mio studio, ad esempio, sta facendo prove tecniche per farci lavorare da casa in caso venga richiesto dal governo».
Davide, invece, ad Hannover per l’anno di studi all’estero, racconta che «da lunedì le scuole saranno chiuse fino al 18 aprile, 15 giorni a scopo precauzionale per il coronavirus e poi cominceranno le vacanze di Pasqua. Vista la situazione, però, non so quando riusciremo a rientrare, nonostante qui in Germania la scuola finisca il 15 luglio. Dall’altro ieri, infatti, cinema e teatri sono chiusi, è sospeso il campionato di calcio così come tutti gli eventi con più di mille persone. Molte manifestazioni sono state annullate nonostante non fosse obbligatorio. Tutto il resto, invece, funziona regolarmente a parte molti lavori che vengono svolti in smart working già da qualche tempo. Da quello che leggo e che mi raccontano i miei genitori ospitanti, i reparti di rianimazione sono più pieni del solito, ma al momento la situazione sembra essere gestibile».
«I casi in tutto il Paese, però, sono arrivati a 3150 – prosegue – .Tutti pensano che quello che sta succedendo in Italia, succederà anche qui: ci si aspetta le stesse misure con la chiusura totale. Sull’Italia, invece, si hanno idee molti diverse a seconda dell’ideologia politica: i miei genitori ospitanti, ad esempio, che tendono verso destra pensano che gli italiani abbiano messo in atto le regole troppo tardi e che quello che si sta facendo ora sia fatto bene; il mio insegnante di latino, invece, di idee opposte, crede che i provvedimenti che sono stati presi sia giusti e abbiano un senso, ma sotto certi aspetti siano troppo rigidi».