Il “Covid 19” ha portato via anche il nostro concittadino, il grande architetto Vittorio Gregotti. Ripropongo ai lettori de “La Voce di Novara”, il pezzo che redassi in occasione della bella mostra al PAC di Milano del febbraio 2018 intitolata “Il paesaggio dell’architettura. Vittorio Gregotti e Associati 1953-2017”
Dire che Vittorio Gregotti è un grande architetto è sicuramente riduttivo, dire che è un “archistar” sarebbe una bestemmia. Vittorio Gregotti è, prima di tutto un grande intellettuale, poi un grandissimo architetto, ma fu anche un docente universitario, un teorico, uno scrittore. Il titolo della fondamentale mostra del PAC di Milano, “Il paesaggio dell’architettura” indica un metodo progettuale preciso consistente nella lettura del paesaggio come facente parte del progetto architettonico, titolo del libro-manifesto che Gregotti pubblicò nel 1966. Gregotti diede vita al celeberrimo studio “Gregotti e Associati”, una novità quasi assoluta che permise di realizzare più di 1.200 opere e che, come scrive Guido Morpurgo nel catalogo della mostra, “rappresenta una sorta di unicum nella vicenda dell’architettura europea contemporanea, coincidente con un’idea di unità metodologica e di integralità attraverso tutte le scale del progetto: architettura, disegno urbano, pianificazione territoriale, allestimenti museali, disegno del prodotto industriale ed editoria.” Una ricerca che raccolse l’ingombrante eredità del Movimento Moderno e seppe dare frutti preziosi. La mostra prende le mosse dalle ultime opere progettate per la Cina e il Nord Africa per risalire al grandioso “Progetto Bicocca” e poi agli anni Ottanta fino alle opere “antropogeografiche” degli anni Settanta, quando la teoria e la cultura avevano lo stesso peso della progettazione, per finire, a ritroso, alle prime ricerche degli anni Cinquanta e Sessanta. Impossibile passare in rassegna i tantissimi progetti esposti, le planimetrie,i prospetti, i disegni. Mi piace ricordare il fascinosissimo stadio di Marrakech, il progetto giardini di Arezzo, la ristrutturazione del primo stadio all’inglese in Italia, il “Luigi Ferraris” di Genova, l’elegantissimo Teatro degli Arcimboldi a Milano inserito a meraviglia nel grandioso progetto Bicocca, ma anche la “spina” dell’Università della Calabria, il monumentale e “catalanissimo” Stadio Olimpico di Barcellona, il “Grand Théâtre de Provence” ad Aix che sembra il contraltare della Saint-Victoire tanto amata da Cézanne, opere in costante dialogo col territorio nel quale e con il quale sono nate attraverso la grande capacità di progettare globalmente e contestualmente al tessuto urbano o naturale in cui ci si trovava ad operare. Naturalmente non posso non citare il Gregotti “novarese”, quello delle sobrie e raffinate soluzioni architettoniche come le case per i dipendenti della Bossi di Cameri o l’apparente brutalismo della case di via San Francesco a Novara, l’elegante scala e gli arredi del Tadini-Lambertenghi, che ricorderanno solo i novaresi non più giovanissimi. Ma voglio ricordare anche un grande Vittorio Gregotti scrittore, quello di “Recinto di fabbrica”, dove l’autore racconta della sua scelta di fare l’architetto per non essere costretto ad un futuro da “industriale”. E nella bella mostra di Milano, Gregotti racconta in un video del suo amore per la letteratura, per l’arte e per la cultura che mai separò dal suo amore per l’architettura. È un piacere vero sentirlo raccontare dei suoi numerosi soggiorni all’estero; durante una sua lunga permanenza a Parigi andò a visitare Ferdinad Leger su consiglio di Le Corbusier: “vai a casa sua, suona il campanello e chiedigli di farti vedere i quadri”. “Il mondo era davvero meno complicato”, aggiunge Gregotti con quell’aria da signore d’altri tempi, quando gli architetti erano intellettuali. Le “archistar” sono venute dopo, molto dopo…