Il coronavirus visto con gli occhi di bambino

Scuole chiuse, oramai da un bel pezzo. E dopo le primissime sensazioni di aver prolungato di pochi giorni le vacanze di Carnevale, tutti, alunni compresi, hanno compreso la realtà dei fatti. E allora si è cominciato a lavorare da casa con la tecnologia a sostituire banco, sedia, lavagna e tutto ciò che appartiene alla classe.

Ed è inevitabile che la tematica coronavirus arrivi anche alle menti dei più piccoli, che sono a casa, che stanno con i propri famigliari e guardano il tg. Irene, 10 anni e alunna di quinta elementare a Novara all’Istituto Maria Ausiliatrice, come i suoi compagni ha scritto un tema: lettera a un bambino del futuro al quale si deve raccontare che cosa è successo nel 2020 a tutto il mondo.

 

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La giovanissima studentessa ha raccontato i fatti, nella loro concretezza, ha reso partecipe questo bimbo proprio di tutto; ha parlato delle persone, della quotidianità, del suo stato d’animo.

«Se è stato naturale scriverlo? Sì e no, – dice Irene – ho dovuto prima di tutto raccogliere un po’ di informazioni e poi trovare le parole giuste per raccontare, anche pensando alla maestra che, se torniamo a scuola, darà una valutazione. Un po’ naturale perché a casa sentiamo i telegiornali, parlo con mamma e papà, e quindi so cosa succede». Irene al mattino si collega subito alla piattaforma della sua scuola, guarda eventuali lezioni, fa gli esercizi; al pomeriggio ha tempo per «stare sul divano, ho fatto qualche mascherina e molto altro perché sono un po’ creativa», e come è normale mancano tanto i compagni, gli amici e le passeggiate a cavallo, la sua passione.

Anche lei sa benissimo, a 10 anni, che anche se magari è un pochino difficile, ora bisogna stare a casa: «Come convincerei le persone a stare a casa? Guardati un film, viziati un po’ ora che si può perché poi la vita normale tornerà. Si possono rispolverare ricordi, sistemare la camera, la casa in generale…».

Il tema

“Caro bimbo del futuro,

oggi ti scrivo questa lettera per raccontarti di un fatto, anzi di un’epidemia diffusa nell’anno 2020: il “Coronavirus” in scienze “COVID-19”.

Io avevo dieci anni quado è scoppiato il nuovo virus in Cina.

La sua origine può essere collocata dalla seconda metà di ottobre del 2019.

Si suppone che il “Coronavirus” sia stato creato da uno scienziato in laboratorio, però c’è anche un’altra ipotesi: alcuni pensano che si sia trasmesso dall’animale all’uomo.

Successivamente in Italia si scoprì un primo caso a Codogno, una cittadina vicino a Lodi, in Lombardia.

Un uomo si è presentato al pronto soccorso il giorno giovedì 20 febbraio 2020, il personale medico gli fece un test chiamato “tampone” e gli fu diagnosticato il COVID-19.

Da quel momento la parola più diffusa era PANICO. L’Italia era divisa: una parte credeva che il Coronavirus fosse solo un’influenza, l’altra parte faceva allarmismo.

In quei giorni guanti, mascherine e prodotti igienici sparirono dalla circolazione: le farmacie mettevano grandi cartelli in vetrina con scritto: “MASCHERINE ESAURITE”, i supermercati non avevano più a disposizione gel anti-batterici, saponi e prodotti disinfettanti.

Le persone iniziarono ad assalire i supermercati e i negozi di ogni genere perché a marzo il direttore generale dell’organizzazione mondiale della sanità dichiarò che l’emergenza Coronavirus era diventata una pandemia.

La quotidianità di ognuno di noi cambiò quando il presidente del consiglio dei ministri impose delle regole: stare a casa era quella fondamentale, poi seguivano lavarsi le mai molto spesso, tenere la distanza di scurezza di almeno un metro e di non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani.

Nei social network è partita la campagna “#iorestoacasa” e “#andràtuttobene!” questo dimostrò molta solidarietà e speranza.

Il giorno 24 febbraio le scuole chiusero, il decreto presidente del consiglio dei ministri continuava a rimandare la loro apertura.

L’11 marzo, l’allora presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Conte disse che le scuole sarebbero rimaste chiuse fino al 3 aprile. Tra la prima e la seconda settimana di marzo ci fu la curva ascendente dei contagi, tutti avevano paura ma la solidarietà si faceva sentire.

Io sono arrabbiata perché non posso andare a scuola, vedere i miei amici, andare alle mie lezioni di equitazione e fare una passeggiata in campagna con la mia famiglia.

Ho un po’ di paura ma non molta perché mi fido della medicina.

Le cose che mi mancano di più sono: andare a cavallo, stare con i miei nonni e i miei zii e non poter stare a contatto con i miei amici.

Vorrei fare molte cose, solo che non posso: vorrei fare un giro nel centro della città, andare a Milano per fare shopping e comperare dei regali per i miei cari ed infine stare con i cavalli; mi mancano troppo perché sono la mia valvola di sfogo.

Spero che con l’accaduto i rapporti con i miei amici cambieranno in meglio.

Con questa pandemia io ho capito l’importanza di un abbraccio, di un gesto affettuoso e dell’importanza della famiglia.

Sono sicura che il mondo supererà questo fatto per ritornare più forte di prima. 

Con affetto.
Irene

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Il coronavirus visto con gli occhi di bambino

Scuole chiuse, oramai da un bel pezzo. E dopo le primissime sensazioni di aver prolungato di pochi giorni le vacanze di Carnevale, tutti, alunni compresi, hanno compreso la realtà dei fatti. E allora si è cominciato a lavorare da casa con la tecnologia a sostituire banco, sedia, lavagna e tutto ciò che appartiene alla classe. Ed è inevitabile che la tematica coronavirus arrivi anche alle menti dei più piccoli, che sono a casa, che stanno con i propri famigliari e guardano il tg. Irene, 10 anni e alunna di quinta elementare a Novara all'Istituto Maria Ausiliatrice, come i suoi compagni ha scritto un tema: lettera a un bambino del futuro al quale si deve raccontare che cosa è successo nel 2020 a tutto il mondo.   [the_ad id="62649"]   La giovanissima studentessa ha raccontato i fatti, nella loro concretezza, ha reso partecipe questo bimbo proprio di tutto; ha parlato delle persone, della quotidianità, del suo stato d'animo. «Se è stato naturale scriverlo? Sì e no, - dice Irene - ho dovuto prima di tutto raccogliere un po' di informazioni e poi trovare le parole giuste per raccontare, anche pensando alla maestra che, se torniamo a scuola, darà una valutazione. Un po' naturale perché a casa sentiamo i telegiornali, parlo con mamma e papà, e quindi so cosa succede». Irene al mattino si collega subito alla piattaforma della sua scuola, guarda eventuali lezioni, fa gli esercizi; al pomeriggio ha tempo per «stare sul divano, ho fatto qualche mascherina e molto altro perché sono un po' creativa», e come è normale mancano tanto i compagni, gli amici e le passeggiate a cavallo, la sua passione. Anche lei sa benissimo, a 10 anni, che anche se magari è un pochino difficile, ora bisogna stare a casa: «Come convincerei le persone a stare a casa? Guardati un film, viziati un po' ora che si può perché poi la vita normale tornerà. Si possono rispolverare ricordi, sistemare la camera, la casa in generale...». Il tema "Caro bimbo del futuro, oggi ti scrivo questa lettera per raccontarti di un fatto, anzi di un’epidemia diffusa nell’anno 2020: il “Coronavirus” in scienze “COVID-19”. Io avevo dieci anni quado è scoppiato il nuovo virus in Cina. La sua origine può essere collocata dalla seconda metà di ottobre del 2019. Si suppone che il “Coronavirus” sia stato creato da uno scienziato in laboratorio, però c’è anche un’altra ipotesi: alcuni pensano che si sia trasmesso dall’animale all’uomo. Successivamente in Italia si scoprì un primo caso a Codogno, una cittadina vicino a Lodi, in Lombardia. Un uomo si è presentato al pronto soccorso il giorno giovedì 20 febbraio 2020, il personale medico gli fece un test chiamato “tampone” e gli fu diagnosticato il COVID-19. Da quel momento la parola più diffusa era PANICO. L’Italia era divisa: una parte credeva che il Coronavirus fosse solo un’influenza, l’altra parte faceva allarmismo. In quei giorni guanti, mascherine e prodotti igienici sparirono dalla circolazione: le farmacie mettevano grandi cartelli in vetrina con scritto: “MASCHERINE ESAURITE”, i supermercati non avevano più a disposizione gel anti-batterici, saponi e prodotti disinfettanti. Le persone iniziarono ad assalire i supermercati e i negozi di ogni genere perché a marzo il direttore generale dell’organizzazione mondiale della sanità dichiarò che l’emergenza Coronavirus era diventata una pandemia. La quotidianità di ognuno di noi cambiò quando il presidente del consiglio dei ministri impose delle regole: stare a casa era quella fondamentale, poi seguivano lavarsi le mai molto spesso, tenere la distanza di scurezza di almeno un metro e di non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani. Nei social network è partita la campagna “#iorestoacasa” e “#andràtuttobene!” questo dimostrò molta solidarietà e speranza. Il giorno 24 febbraio le scuole chiusero, il decreto presidente del consiglio dei ministri continuava a rimandare la loro apertura. L’11 marzo, l’allora presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Conte disse che le scuole sarebbero rimaste chiuse fino al 3 aprile. Tra la prima e la seconda settimana di marzo ci fu la curva ascendente dei contagi, tutti avevano paura ma la solidarietà si faceva sentire. Io sono arrabbiata perché non posso andare a scuola, vedere i miei amici, andare alle mie lezioni di equitazione e fare una passeggiata in campagna con la mia famiglia. Ho un po’ di paura ma non molta perché mi fido della medicina. Le cose che mi mancano di più sono: andare a cavallo, stare con i miei nonni e i miei zii e non poter stare a contatto con i miei amici. Vorrei fare molte cose, solo che non posso: vorrei fare un giro nel centro della città, andare a Milano per fare shopping e comperare dei regali per i miei cari ed infine stare con i cavalli; mi mancano troppo perché sono la mia valvola di sfogo. Spero che con l’accaduto i rapporti con i miei amici cambieranno in meglio. Con questa pandemia io ho capito l’importanza di un abbraccio, di un gesto affettuoso e dell’importanza della famiglia. Sono sicura che il mondo supererà questo fatto per ritornare più forte di prima. 

Con affetto. Irene

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