Il volley femminile internazionale perde una delle sue stelle: con un post sui suoi canali social, la fuoriclasse croata Katarina Barun (Susnjar è il cognome acquisito dal marito Martin, ex cestista conosciutissimo e apprezzatissimo nel nord-ovest d’Italia e con un passato in Eurolega) ha annunciato la decisione di abbandonare definitivamente il volley giocato. Una decisione arrivata dopo 23 stagioni da professionista, prima nella sua Croazia e poi in Turchia, Italia, Romania, Azerbaijan e Giappone. Tra tutte le maglie indossate, oltre a quella del “suo” Mladost Zagabria (storica squadra della sua città natale), quella che è stata senz’altro più significativa per lei è proprio quella di Novara, con cui ha disputato quattro stagioni di cui due con la Igor Volley impreziosite da una Coppa Italia (2014-2015) e dal primo storico Scudetto (2016-2017). Competizioni vinte da protagonista, tanto da essere premiata in entrambi i casi MVP.
Difficile riassumere però nei trofei e nei numeri da record messi in campo, quello che Katarina Barun ha rappresentato per la pallavolo novarese e per i suoi sostenitori. Attaccante potente quanto intelligente, leader assoluta in campo ed esempio integerrimo fuori dal taraflex, capace di attirarsi le simpatie e il supporto di tutti, spesso anche degli avversari. Una vera e propria “signora” del volley, tanto da guadagnarsi sul campo il “nickname” di Regina. Un titolo cui hanno sempre reso giusto merito anche tutte le sue compagne: è iconica l’immagine del primo grande trofeo vinto dalla Igor Volley (Coppa Italia 2015 a Rimini), quando l’intera squadra ha accolto in ginocchio la sua premiazione quale miglior giocatrice. Una scena che si è ripetuta due anni più tardi, a Modena, l’11 maggio 2017 dopo la conquista del titolo italiano.
Tra gli highlights della sua scintillante carriera anche una Champions League da giovanissima con Bergamo, una sfilza di titoli nazionali, tra campionati e coppe, vinti in Croazia e Romania, e il bronzo con cui ha chiuso il suo biennio in Giappone e, contestualmente, la sua carriera. Senza dimenticare la capacità di reagire a difficoltà all’apparenza insormontabili, come il terribile infortunio alla caviglia patito in Romania nel 2008-2009 (a chi le disse che avrebbe fatto fatica a camminare come prima, figuriamoci riprendere a giocare… rispose tornando in campo in pochi mesi e trascinando la sua Croazia agli Europei) o la rottura del crociato arrivata sul più bello della sua prima avventura novarese (2011). Proprio dopo i due bruttissimi incidenti, infatti, Katarina si è regalata l’esplosione definitiva, affermandosi tra le migliori al mondo nel proprio ruolo.
«Per la prima volta, dopo 23 stagioni, non mi trovo qui a pensare al futuro sotto rete – è il pensiero di Katarina Barun –, a una nuova squadra, a una nuova sfida, alla prossima partita da giocare. Dopo oltre vent’anni è arrivato per me il momento di lasciare le ginocchiere in armadio e di prepararmi a iniziare una nuova vita. Avevo 14 anni quando ho indossato per la prima volta la maglia del Mladost Zagabria, la mia prima squadra, ne avevo 36 quando qualche mese fa, prima che il mondo tutto si dedicasse a una sfida molto più importante e delicata, ho giocato l’ultima partita con le mie compagne dell’Ageo Medics, in Giappone. Nel mezzo, dodici club e sei diversi campionati, quattro Scudetti, tre Coppe nazionali e una Champions League. Ho vissuto ogni giorno con la stessa passione e determinazione, sentimenti che mi hanno accompagnata nei momenti più belli come in quelli più difficili. Ho donato tutta me stessa a questo sport che, in cambio, mi ha dato moltissimo: un percorso di formazione umana e tecnica, amicizie, legami profondi e vittorie. Più di quello che magari mi sarei immaginata quando ho iniziato. Provo gratitudine per tutte le persone che mi hanno accompagnata in questo lungo viaggio e racchiudo nel mio cuore le tante emozioni che ho potuto vivere in questi anni. Le stesse emozioni che, almeno in parte, spero di aver a mia volta regalato a tutti quelli che mi hanno seguita. Per me comincia un nuovo percorso, lontano dal campo ma – ne sono certa – non lontano dal volley. Lo sport che oggi, come 23 anni fa, continuo ad amare profondamente. Ci vediamo presto».