Nella patria del basket con un obiettivo preciso: crescere per potersi affermare nel mondo senior. Ha scelto la Lituania il novarese Matteo Rinaldi, classe 2001: il giovane della Bicocca, che da ragazzino si allenava al campetto tutte le mattine prima della scuola, ora abita a Vilnius dall’agosto 2019 dove ha frequentato la scuola e naturalmente il basket. Nella sua testa ora il dispiacere di non aver potuto concludere il campionato, ma la “fortuna” di aver continuato da solo ad allenarsi. Matteo gioca nel Vilniaus krepsinio mokykla, ha disputato il campionato Under 19, categoria di più alto livello nel settore giovanile e due campionati senior, Skl ed Rkl, rispettivamente il terzo campionato nazionale, una serie B italiana, e il primo campionato regionale, una serie C italiana.
Cresciuto a Novara, Matteo ha percorso parte delle giovanili al College Borgomanero, dove è stato inserito anche nel roster di C Silver e C Gold, le due prime squadre delle società del lago. «Ho da sempre uno spirito competitivo, – dice – mi piacciono le sfide più “grandi” di me perché le trovo stimolanti».
Una scelta che molti dei suoi amici, anche la sua famiglia inizialmente, ha ritenuto “folle”: non è da tutti frequentare l’ultimo anno delle superiori all’estero e mirare a un diploma internazionale. Ma se sei determinato, tenace, convinto di ciò che vuoi, allora non è così impossibile.
È stato difficile integrarti a scuola?
Non è stato subito facile, ma devo dire di essere stato fortunato perché qui il Coronavirus non ha ostacolato gli studi, la scuola inizia prima e ho avuto modo di sostenere tutti i miei esami. Ora guardo con grande orgoglio il mio diploma, che presto sarà riconosciuto anche in Italia. La scuola per me ha sempre avuto importanza, mi sono sempre impegnato, anche qui.
E nel basket?
Solitamente gli stranieri non sono così tanto considerati, invece io sono stato accettato dal gruppo, hanno riconosciuto in me la mia fame di vittoria, di lavorare, di allenarmi, di essere pronto. In campo cerco sempre di esprimermi al meglio, perché so che devo dare tutto quello che ho. Questo è piaciuto tanto. Ciò che è successo in Italia per il virus è arrivato qui con un ritardo di due settimane abbondanti, per cui noi abbiamo giocato l’ultima partita, una trasferta al di là della Lituania, a metà marzo e per una settimana ci siamo allenati a porte chiuse. La federazione qui ha aspettato fiduciosa, ma pochi giorni fa è stata ufficializzata anche qui la chiusura dei campionati. Mi spiace perché stavo giocando tanto e bene, avrei voluto continuare per crescere ancora. Per fortuna qui il basket è lo sport del Paese, io avevo un canestro sotto casa e l’ho usato e la società ci ha fatto avere il materiale per allenarci a casa fisicamente. Sto usando ora la palestra della società che si sta preparando anche per fare allenamenti individuali.
Hai già un biglietto di ritorno?
No! Non so ancora quando tornerò, ma voglio tornare, per cercare di poter fare un campionato nazionale in Italia, anche se per noi giovani ora questa situazione di incertezza è un po’ un martirio. E’ difficile a prescindere perché università e sport non dialogano fra loro, come è invece all’estero, devi organizzarti. Io vorrei continuare a studiare, Scienze della comunicazione. Ma vorrei fare anche uno step in più nel basket, non vedo l’ora di arrivare in una società che scelga di investire su di me.
Ti manca casa?
Naturalmente. Siamo una famiglia numerosa, sette in tutto, cinque fratelli e da sempre ho cercato di essere indipendente per cercare di organizzare i miei impegni, ossia conciliare scuola e basket, ma stare con i miei fratelli mi manca. E mi è mancato non poterci essere quando poche settimane fa è mancato mio nonno, l’ultimo che avevo, quello che forse hai più scolpito nel tuo cuore. Sono stato molto combattuto nel decidere cosa fare in piena emergenza. Casa mi manca in generale, sono un giovane con forti valori, che mi hanno trasmesso i miei genitori e non avere le mie linee guida in questi mesi è stato difficile, ma i loro insegnamenti sono stati fondamentali. Ora però non mi danno del pazzo, – dice sorridendo – anzi rettifico, mio papà era orgoglioso di me quando ho mostrato il diploma, ma lo è sempre. Ha sempre fatto in modo che i suoi giudizi su di me fossero uno stimolo per continuare a migliorarmi.
Hai però pensato di rimanere in Lituania?
Ho avuto chiamate all’estero, alcune proposte qui, ma ho pensato che non è il momento. Diciamo che questa è una situazione che mi mette molto alla prova. Di solito in questa fase della stagione si programma, si decide il proprio futuro per la stagione successiva, questo stato di incertezza e confusione destabilizza un po’ anche me perché adoro la precisione, lavoro sempre in modo molto professionistico, ho un obiettivo e lavoro per raggiungerlo. Mi piace organizzarmi, lavorare su di me e per me.
Come è stato allenarsi nella patria del basket?
Bellissimo, per loro il basket è stata la salvezza dal periodo comunista e questo orgoglio si respira davvero. Ovunque ci sono campetti, sempre pieni, ciò che mi ha stupito è che i giovani qui non mirano alla serie A locale, mirano alla Eurolega o Nba e lavorano per questo. Ho conosciuto compagni e altri giovani che per il prossimo anno hanno firmato in club importanti in giro per l’Europa, è bellissimo. Qui in Lituania c’è molta fiducia nei giovani.
Come vedi il tuo futuro?
Non so cosa succederà, il mio desiderio di giocare in un campionato nazionale è ben solido. Non voglio solo essere un campione sportivo, il giocatore di basket è un campione di vita, perché le persone riconoscono in lui qualcosa, non solo il talento tecnico. A me piace quando i ragazzini ti fermano, si ricordano di te, qualcosa hai lasciato loro. Io ho vinto la mia “pazzia”, perché ci ho creduto, dal primo giorno, e a me piacciono le persone che fanno le cose perché ci credono. Io ce l’ho messa tutta e lo farò ancora, mi sono allenato alle 6.30 del mattino, dopo la scuola mi sono perfezionato, ho migliorato difetti, ho fatto palestra. Sono orgoglioso di ciò che finora ho fatto.