L’infarto durante l’emergenza covid, parte da un cardiologo novarese il “registro europeo”

Parte da Novara, promotore Giuseppe De Luca, professore associato di Cardiologia all’Università del Piemonte Orientale e cardiologo dell’ospedale Maggiore, un progetto dal respiro internazionale che ha l’obiettivo di valutare quali possono essere stati gli effetti “indiretti”  dell’emergenza covid sul tasso di mortalità per infarto miocardico durante la pandemia. Uno studio che non ha l’obiettivo di dimostrare una correlazione diretta nel senso di patologia, piuttosto di verificare se c’è stata una riduzione del numero, e in che termini, di pazienti che, affetti da infarto acuto, non si siano rivolti agli ospedali per paura di contrarre il virus, o si siano rivolti tardivamente.

 

 

«da recenti piccoli registri eseguiti in Europa, in Asia e in America – spiega il professore – sarebbe emersa – una chiara riduzione degli infarti acuti trattati, conseguenza del fatto che i pazienti, timorosi del contagio, preferivano rimanere a casa nonostante i sintomi piuttosto che andare in ospedale per curarsi. Visto che l’infarto rappresenta la principale causa di mortalità nei paesi industrializzati, è evidente che questa condotta timorosa dei pazienti possa avere un drammatico impatto sul numero di morti per infarto a livello mondiale. Sembrerebbe, inoltre, che anche coloro che si rivolgono al servizio territoriale di emergenza urgenza lo fanno tardivamente, con un impatto negativo sull’efficacia della terapia per trattare l’infarto».

«Stiamo raccogliendo i dati dei pazienti che sono stati trattati nei mesi di marzo e aprile dell’anno scorso per confrontarli con quelli degli stessi due mesi di quest’anno, per valutare se vi sia stata una mortalità più elevata». Il progetto che sfocerà in un “registro europeo Isacs-Stemi Covid 19” e coinvolgerà circa 80 tra le maggiori istituzioni europee nel trattamento dell’infarto, di cui una ventina italiane, con la previsione di “arruolare” circa 6 mila pazienti affetti da infarto acuto.

«La rilevanza di questo studio – prosegue De Luca – oltre al fatto che si tratta del più grande registro al mondo sull’infarto nell’era Covid, è quella di studiare in maniera globale e approfondita un problema che coinvolge chiaramente tutta l’Europa. Questi dati, rilevati su tale numerosità di pazienti, ci daranno un’idea della reale proporzione del problema, che consentirà alle autorità sanitarie nazionali di poter adottare tutte le iniziative, da compagne educazionali a interventi logistici sul territorio, necessarie a fare in modo che venga prevenuta una ulteriore strage di vittime fatta stavolta indirettamente dal Coronavirus».

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L’infarto durante l’emergenza covid, parte da un cardiologo novarese il “registro europeo”

Parte da Novara, promotore Giuseppe De Luca, professore associato di Cardiologia all’Università del Piemonte Orientale e cardiologo dell’ospedale Maggiore, un progetto dal respiro internazionale che ha l’obiettivo di valutare quali possono essere stati gli effetti “indiretti”  dell’emergenza covid sul tasso di mortalità per infarto miocardico durante la pandemia. Uno studio che non ha l’obiettivo di dimostrare una correlazione diretta nel senso di patologia, piuttosto di verificare se c’è stata una riduzione del numero, e in che termini, di pazienti che, affetti da infarto acuto, non si siano rivolti agli ospedali per paura di contrarre il virus, o si siano rivolti tardivamente.

 

 

«da recenti piccoli registri eseguiti in Europa, in Asia e in America – spiega il professore – sarebbe emersa – una chiara riduzione degli infarti acuti trattati, conseguenza del fatto che i pazienti, timorosi del contagio, preferivano rimanere a casa nonostante i sintomi piuttosto che andare in ospedale per curarsi. Visto che l’infarto rappresenta la principale causa di mortalità nei paesi industrializzati, è evidente che questa condotta timorosa dei pazienti possa avere un drammatico impatto sul numero di morti per infarto a livello mondiale. Sembrerebbe, inoltre, che anche coloro che si rivolgono al servizio territoriale di emergenza urgenza lo fanno tardivamente, con un impatto negativo sull’efficacia della terapia per trattare l’infarto».

«Stiamo raccogliendo i dati dei pazienti che sono stati trattati nei mesi di marzo e aprile dell’anno scorso per confrontarli con quelli degli stessi due mesi di quest’anno, per valutare se vi sia stata una mortalità più elevata». Il progetto che sfocerà in un “registro europeo Isacs-Stemi Covid 19” e coinvolgerà circa 80 tra le maggiori istituzioni europee nel trattamento dell’infarto, di cui una ventina italiane, con la previsione di “arruolare” circa 6 mila pazienti affetti da infarto acuto.

«La rilevanza di questo studio – prosegue De Luca – oltre al fatto che si tratta del più grande registro al mondo sull’infarto nell’era Covid, è quella di studiare in maniera globale e approfondita un problema che coinvolge chiaramente tutta l’Europa. Questi dati, rilevati su tale numerosità di pazienti, ci daranno un’idea della reale proporzione del problema, che consentirà alle autorità sanitarie nazionali di poter adottare tutte le iniziative, da compagne educazionali a interventi logistici sul territorio, necessarie a fare in modo che venga prevenuta una ulteriore strage di vittime fatta stavolta indirettamente dal Coronavirus».

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