Si erano frequentati per un po’ di tempo, il rapporto sembrava funzionare bene e così avevano deciso di andare a vivere insieme. Ma poco più di un anno dopo l’inizio della convivenza erano emersi i primi problemi e le prime incomprensioni. «Era possessivo, mi controllava» aveva raccontato la donna in aula e così aveva deciso di lasciare l’abitazione che aveva condiviso con il compagno e di stabilirsi a casa di un’amica fuori provincia.
Una decisione alla quale l’uomo non si rassegnava e così, stando a quanto lei aveva denunciato ai carabinieri, aveva iniziato a perseguitarla arrivando a prendersela non solo con lei ma anche con le persone che in un qualche modo le erano vicine, in particolare con un amico di lei al quale lui attribuiva la colpa della fine della loro relazione.
Telefonate, messaggi, insulti, minacce e pedinamenti: «mi seguiva con l’auto quando rientravo dal lavoro. Diceva che non mi avrebbe lasciata in pace», aveva detto la donna, che nel processo – i cui fatti risalgono a parecchi anni fa – si è costituita parte civile con l’avvocato Paolo Mastrosimone.
Sul capo dell’uomo, poco più che quarantenne residente in provincia di Novara, oltre all’accusa di stalking, per la quale è stato condannato, pendeva anche quella di aver danneggiato la lapide funeraria del padre di lei, morto qualche tempo prima, reato per il quale è stato assolto.