Carlo Benvenuto, l’originale

Pensare che nella ricerca fotografica di Carlo Benvenuto ci sia solo Giorgio Morandi è sicuramente riduttivo, anche se quando si parla di intimità degli oggetti, dei loro equilibri, della loro essenza e, persino, della loro “anima”, il confronto che per primo viene alla mente per chi ama le arti visive è quello col grande pittore bolognese. Ed è anche ovvio che sia così perché è raro trovare in un fotografo un tale rapporto di intimità domestica con l’oggetto rappresentato.

Le sue grandi fotografie sono esposte al MART di Rovereto, in una magnifica mostra, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi dal titolo “L’originale” e curata da Gianfranco Maraniello, aperta fino al prossimo diciotto ottobre. La fotografia di Carlo Benvenuto comporta una adesione sensoriale, più che sentimentale all’oggetto rappresentato, una rappresentazione apparentemente algida, ma che si raggiunge solo attraverso una conoscenza intima, mi verrebbe da dire attraverso uno scandagliamento domestico maniacale alla ricerca di proporzioni, angolazioni, effetti di luce, profondità di campo.

Si tratta di tavoli, specchi, sedie, piatti, tazze, bicchieri, e teiere, anche in immaginari ed ironici dialoghi con biscotti. Una fotografia di amplissime superfici che ci dimostra come il vuoto non sia il contrario del pieno e che gli oggetti non meritano il nostro guardo distratto, ma attenzioni (stavo per dire devozioni). Proprio quello che fa Carlo Benvenuto nella quotidianità domestica: confronta gli oggetti, li misura, li tocca, li posiziona, li illumina.

Un modo di operare per “progettualità visiva” che ho sempre apprezzato, a volte anche di più delle improvvise folate di genialità di cui sono preda molti artisti, ma sotto la cui scorza sembra non esserci questo mirabile lavoro di analisi e di ricerca alla ricerca de “L’originale”, termine volutamente ambiguo che potrebbe significare il modello archetipico, come potrebbe essere usato come aggettivo, magari persino riferito all’artista stesso.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Carlo Benvenuto, l’originale

Pensare che nella ricerca fotografica di Carlo Benvenuto ci sia solo Giorgio Morandi è sicuramente riduttivo, anche se quando si parla di intimità degli oggetti, dei loro equilibri, della loro essenza e, persino, della loro “anima”, il confronto che per primo viene alla mente per chi ama le arti visive è quello col grande pittore bolognese. Ed è anche ovvio che sia così perché è raro trovare in un fotografo un tale rapporto di intimità domestica con l’oggetto rappresentato. Le sue grandi fotografie sono esposte al MART di Rovereto, in una magnifica mostra, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi dal titolo “L’originale” e curata da Gianfranco Maraniello, aperta fino al prossimo diciotto ottobre. La fotografia di Carlo Benvenuto comporta una adesione sensoriale, più che sentimentale all’oggetto rappresentato, una rappresentazione apparentemente algida, ma che si raggiunge solo attraverso una conoscenza intima, mi verrebbe da dire attraverso uno scandagliamento domestico maniacale alla ricerca di proporzioni, angolazioni, effetti di luce, profondità di campo. Si tratta di tavoli, specchi, sedie, piatti, tazze, bicchieri, e teiere, anche in immaginari ed ironici dialoghi con biscotti. Una fotografia di amplissime superfici che ci dimostra come il vuoto non sia il contrario del pieno e che gli oggetti non meritano il nostro guardo distratto, ma attenzioni (stavo per dire devozioni). Proprio quello che fa Carlo Benvenuto nella quotidianità domestica: confronta gli oggetti, li misura, li tocca, li posiziona, li illumina. Un modo di operare per “progettualità visiva” che ho sempre apprezzato, a volte anche di più delle improvvise folate di genialità di cui sono preda molti artisti, ma sotto la cui scorza sembra non esserci questo mirabile lavoro di analisi e di ricerca alla ricerca de “L’originale”, termine volutamente ambiguo che potrebbe significare il modello archetipico, come potrebbe essere usato come aggettivo, magari persino riferito all’artista stesso.

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