«Costruiamo il futuro della città. Chi ha idee nuove nel cassetto è benvenuto»

Durante il discorso in occasione della celebrazione di San Gaudenzio il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, è stato chiaro: «Dovremo affrontare la crudezza della situazione. Faccio una proposta concreta: potrebbe essere opportuno trovare, in questo anno, uno spazio di confronto per immaginare il futuro prossimo?». Un tema che pone tutti di fronte alle proprie responsabilità e che unisce il realismo alla spiritualità in un percorso comune di rinascita.

La Voce ha rivolto al vescono qualche domanda per approfondire l’argomento.

Monsignor Brambilla, il tema centrale del suo discorso è stato l’appello a scendere in campo insieme per la rinascita. Un appello rivolto a forze sociali, mondo del volontariato, società civile, rappresentanti della politica e gente comune. Ha parlato di proposta concreta e stati generali: qual è la sua idea?
L’intuizione che ho proposto è molto semplice: creare uno “spazio di confronto” (possiamo chiamarlo “stati generali” o “agorà sociale”) dove tutte le forze civili, presenti nella città e sul territorio, si diano un tempo per pensare e progettare insieme. Le numerose forze del lavoro e dell’impresa, del volontariato e della carità, dei servizi sociali e dell’amministrazione, dell’agricoltura e dell’artigianato, dell’istruzione e della formazione umana, tutti i corpi intermedi che concorrono alla vita delle città e del circondario, possono dedicare alcuni giorni per sognare insieme il dopo pandemia. È un’esperienza già proposta in altre città, anche di grandi dimensioni, che ha aiutato ad aprire nuovi scenari. Dopo il passaggio elettorale di maggio giugno potrà essere il tempo favorevole.

La Diocesi potrebbe fare da moderatore tra le diverse realtà? E quale dovrebbe essere il ruolo dell’Università del Piemonte Orientale considerando la sua importanza nel territorio del Quadrante?
L’idea mi è venuta leggendo il bel testo pubblicato dall’editrice Interlinea, promosso dalla nostra Università Scritti sul Piemonte Orientale, 2019. È una grande mappa di temi: la collocazione strategica del Piemonte Orientale col suo patrimonio storico e culturale, le opportunità della sua geografia umana, il ruolo dell’Università come motore di cultura e di economia, la sue tradizioni etnografiche e religiose, a cui si dovrebbe aggiungere il panorama del lavoro, dell’organizzazione sociale e dello sviluppo delle potenzialità agricole e industriali. La Diocesi può al più fare da catalizzatore e un’opera di sensibilizzazione soprattutto per il tema formativo ed educativo, oltre che per il vasto campo del volontariato e della presa in carico delle situazioni di vulnerabilità.

La parola chiave del suo discorso è stata “rinascita”. In un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, come si può pensare di rinascere tenendo conto, innanzitutto, delle problematiche pratiche ed economiche con cui la maggior parte delle persone si sta scontrando quotidianamente?
Quando nasce un bambino, la natura lascia alla nostra libertà un tempo di nove mesi per attenderlo e desiderarlo. I prossimi mesi saranno ancora tribolati, ma intanto possiamo prepararci al tempo nuovo che domanderà uno sforzo comune notevole. La situazione economica e sociale sarà gravosa e per questo si chiede un intervento concertato di tutte le forze in campo: bisognerà scegliere le priorità e gli interventi necessari per portarci fuori dal guado. Chi ha idee nuove da tirar fuori dal cassetto è benvenuto.

Lei ha detto: «Bisogna che scommettiamo sull’educazione. I nostri ragazzi, adolescenti e giovani, sono stati vaganti e dispersi per oltre un anno. Senza visione e senza formazione, non si va da nessuna parte». Come è necessario agire su questa tema che rappresenta il futuro della nostra esistenza? Chi deve occuparsene?
Proviamo a pensare in questi due anni ai ragazzi e alle ragazze di seconda e terza media, o agli adolescenti di prima e seconda superiore o, ancora, ai giovani della maturità e del primo anno di università: il tempo perso in questi snodi vitali della vita può essere traumatico. Già nella scorsa primavera abbiamo iniziato un percorso di ascolto dei giovani nei nostri oratori. Ho anche chiesto loro di scrivere una lettera da indirizzare a se stessi raccontando le proprie emozioni, paure, sogni del tempo del lockdown. Da non far leggere a nessuno. Il prossimo anno si potrà pensare a una serie di iniziative di ascolto delle ferite che i ragazzi e giovani portano dentro di sé e alcuni eventi per ricuperare fiducia e credito nella scuola e negli ambienti educativi come l’Oratorio e la Comunità civile.

Nell’augurio di Natale lei aveva auspicato a «rimettere al centro la vita della città». Che cosa intende? Pensa che i novaresi saranno in grado di farlo? 
In questi mesi i novaresi hanno già dimostrato di saper rispondere insieme all’emergenza. Penso al lavoro encomiabile di medici e infermieri, degli insegnanti, dei tanti lavoratori che hanno dato un apporto fondamentale e spesso dimenticato. E poi ai volontari delle nostre parrocchie: gli operatori Caritas gli animatori degli oratori, le catechiste. Ora abbiamo un’occasione unica: quando è esplosa la pandemia stava partendo il progetto di Passio intitolato “Fra cielo e terra: città dell’uomo e città di Dio”. Opportunamente rivisto potrà essere il motore propulsivo a vasto raggio per far rivivere la città di Novara. La città dell’uomo è il luogo della socialità e dell’amicizia, la città di Dio è lo spazio della fraternità e della carità. Divise o in conflitto portano morte alla città dell’uomo e tristezza alla città di Dio. Insieme crescono nel mirabile intreccio di cura della civiltà e desiderio di Dio. Possiamo dare nuovo vigore alla città, nel concerto di tutte le sue energie culturali e le sue forze vive.

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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«Costruiamo il futuro della città. Chi ha idee nuove nel cassetto è benvenuto»

Durante il discorso in occasione della celebrazione di San Gaudenzio il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, è stato chiaro: «Dovremo affrontare la crudezza della situazione. Faccio una proposta concreta: potrebbe essere opportuno trovare, in questo anno, uno spazio di confronto per immaginare il futuro prossimo?». Un tema che pone tutti di fronte alle proprie responsabilità e che unisce il realismo alla spiritualità in un percorso comune di rinascita.

La Voce ha rivolto al vescono qualche domanda per approfondire l’argomento.

Monsignor Brambilla, il tema centrale del suo discorso è stato l’appello a scendere in campo insieme per la rinascita. Un appello rivolto a forze sociali, mondo del volontariato, società civile, rappresentanti della politica e gente comune. Ha parlato di proposta concreta e stati generali: qual è la sua idea?
L’intuizione che ho proposto è molto semplice: creare uno “spazio di confronto” (possiamo chiamarlo “stati generali” o “agorà sociale”) dove tutte le forze civili, presenti nella città e sul territorio, si diano un tempo per pensare e progettare insieme. Le numerose forze del lavoro e dell’impresa, del volontariato e della carità, dei servizi sociali e dell’amministrazione, dell’agricoltura e dell’artigianato, dell’istruzione e della formazione umana, tutti i corpi intermedi che concorrono alla vita delle città e del circondario, possono dedicare alcuni giorni per sognare insieme il dopo pandemia. È un’esperienza già proposta in altre città, anche di grandi dimensioni, che ha aiutato ad aprire nuovi scenari. Dopo il passaggio elettorale di maggio giugno potrà essere il tempo favorevole.

La Diocesi potrebbe fare da moderatore tra le diverse realtà? E quale dovrebbe essere il ruolo dell’Università del Piemonte Orientale considerando la sua importanza nel territorio del Quadrante?
L’idea mi è venuta leggendo il bel testo pubblicato dall’editrice Interlinea, promosso dalla nostra Università Scritti sul Piemonte Orientale, 2019. È una grande mappa di temi: la collocazione strategica del Piemonte Orientale col suo patrimonio storico e culturale, le opportunità della sua geografia umana, il ruolo dell’Università come motore di cultura e di economia, la sue tradizioni etnografiche e religiose, a cui si dovrebbe aggiungere il panorama del lavoro, dell’organizzazione sociale e dello sviluppo delle potenzialità agricole e industriali. La Diocesi può al più fare da catalizzatore e un’opera di sensibilizzazione soprattutto per il tema formativo ed educativo, oltre che per il vasto campo del volontariato e della presa in carico delle situazioni di vulnerabilità.

La parola chiave del suo discorso è stata “rinascita”. In un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, come si può pensare di rinascere tenendo conto, innanzitutto, delle problematiche pratiche ed economiche con cui la maggior parte delle persone si sta scontrando quotidianamente?
Quando nasce un bambino, la natura lascia alla nostra libertà un tempo di nove mesi per attenderlo e desiderarlo. I prossimi mesi saranno ancora tribolati, ma intanto possiamo prepararci al tempo nuovo che domanderà uno sforzo comune notevole. La situazione economica e sociale sarà gravosa e per questo si chiede un intervento concertato di tutte le forze in campo: bisognerà scegliere le priorità e gli interventi necessari per portarci fuori dal guado. Chi ha idee nuove da tirar fuori dal cassetto è benvenuto.

Lei ha detto: «Bisogna che scommettiamo sull’educazione. I nostri ragazzi, adolescenti e giovani, sono stati vaganti e dispersi per oltre un anno. Senza visione e senza formazione, non si va da nessuna parte». Come è necessario agire su questa tema che rappresenta il futuro della nostra esistenza? Chi deve occuparsene?
Proviamo a pensare in questi due anni ai ragazzi e alle ragazze di seconda e terza media, o agli adolescenti di prima e seconda superiore o, ancora, ai giovani della maturità e del primo anno di università: il tempo perso in questi snodi vitali della vita può essere traumatico. Già nella scorsa primavera abbiamo iniziato un percorso di ascolto dei giovani nei nostri oratori. Ho anche chiesto loro di scrivere una lettera da indirizzare a se stessi raccontando le proprie emozioni, paure, sogni del tempo del lockdown. Da non far leggere a nessuno. Il prossimo anno si potrà pensare a una serie di iniziative di ascolto delle ferite che i ragazzi e giovani portano dentro di sé e alcuni eventi per ricuperare fiducia e credito nella scuola e negli ambienti educativi come l’Oratorio e la Comunità civile.

Nell’augurio di Natale lei aveva auspicato a «rimettere al centro la vita della città». Che cosa intende? Pensa che i novaresi saranno in grado di farlo? 
In questi mesi i novaresi hanno già dimostrato di saper rispondere insieme all’emergenza. Penso al lavoro encomiabile di medici e infermieri, degli insegnanti, dei tanti lavoratori che hanno dato un apporto fondamentale e spesso dimenticato. E poi ai volontari delle nostre parrocchie: gli operatori Caritas gli animatori degli oratori, le catechiste. Ora abbiamo un’occasione unica: quando è esplosa la pandemia stava partendo il progetto di Passio intitolato “Fra cielo e terra: città dell’uomo e città di Dio”. Opportunamente rivisto potrà essere il motore propulsivo a vasto raggio per far rivivere la città di Novara. La città dell’uomo è il luogo della socialità e dell’amicizia, la città di Dio è lo spazio della fraternità e della carità. Divise o in conflitto portano morte alla città dell’uomo e tristezza alla città di Dio. Insieme crescono nel mirabile intreccio di cura della civiltà e desiderio di Dio. Possiamo dare nuovo vigore alla città, nel concerto di tutte le sue energie culturali e le sue forze vive.

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore