Era il settembre del 1977, quando una mattina Fabrizio Berrini mi incontrò alla libreria “La Talpa”. Io stavo parlano di poesia con il compianto Renzo Martelli, lui mi interruppe e mi disse: perché non vieni a Radio Kabouter a parlare di poesia? Non seppi cosa rispondere, come spesso mi accade quando qualcuno mi dimostra fiducia, ma ci andai e una settimana dopo cominciò la mia esperienza in una radio.
Quando salii per la prima volta la ripida rampa di scale della sede di Via dei Cattaneo, mi trovai davanti Fabrizio Berrini e, seduto al mixer, Marco Sorrentino. Io, giovane studente universitario, proposi loro di realizzare una trasmissione di poesia, che si sarebbe dovuta intitolare “Il fumo dei falò”; spiegai loro che il titolo era tratto da un celebre verso di Sergej Esenin.
Mentre lo proposi, e solo in quell’istante, compresi che avevo “pisciato fuori dal vaso” come direbbe un filosofo. Avrei dovuto pensare che quelli erano dei “buscaderi”, quelli leggevano “Il Mucchio Selvaggio”, portavano stivaletti da rockettari, trasmettevano blues, parlavano di John Lee Hooker o di Charlie Mingus, organizzavano concerti di Jorma Kaukonen, trasmettevo la musica dei Dubliners, avevano appeso nello studio manifesti di Janis Joplin e di Woodstock e allora, cosa diavolo mi era venuto in mente di arrivare lì per parlare di Sergej Esenin? Fabrizio Berrini strabuzzò gli occhi, guardò Marco Sorrentino che a sua volta guardò me e disse: “Va bene, la facciamo”.
Da quel preciso istante compresi che Kabouter era davvero “la realtà con fantasia”, come diceva lo striscione appeso sotto il palcoscenico dei concerti, che la radio spesso organizzava al palasport. E così cominciai a far parte di quella grande famiglia, una famiglia allargata, come si direbbe oggi. Radio Kabouter parlava di politica e di cultura, quando le altre radio libere facevano i giochi a quiz, raccontava di Woody Guthrie, quando le altre radio organizzavano le cacce al tesoro. Insomma era un’avanguardia e forse, come tutte le avanguardie, rischiava solo di correre più veloce degli altri. Begli anni la fine dei Settanta, nascevano le cosiddette “radio libere” (chi non si ricorda di Radio Alice di Bologna o di Radio Popolare di Milano…), e succedeva anche a Novara.
A Radio Kabouter, prestavano la propria opera persone di un certo spessore, Marco Sorrentino oggi manager di Jovanotti, Roberto De Luca, futuro manager di “Live Nation”, Adelmo Quadrio, allora redattore di una rivista storica del rock italiano come “L’ultimo buscadero”, Alberto Toscano, giornalista esperto di politica internazionale, lo storico Cesare Bermani e ancora Gianni Lucini, giornalista, autore e molto altro, Mariano Settembri editore, Mauro Gualandris, oggi alla guida di un ristorante stellato, Massimiliano Lotti, attore di teatro e doppiatore e tanti altri amici come Alessandro Bussani, Giovanni Ferri, Sandro Turchelli, Cesare Guenzi, Nando Grignaschi, Giovanni Buscaglia, Diego Zanti, Diego Garzone, Marcello Frontini, Giorgio Lazzarini, Roberto Pajetta, Mirella Bensi, Fabio e Renzo Martelli, Laura Perotti, Margherita Gionni, Chiara Sttembrie poi Rita Cannavanetta e Corrado Rochestri che non ci sono più, ma che è come se ci fossero.
Come si dice in questi casi, dimenticherò certamente qualcuno, anzi più di qualcuno. Insomma tra queste persone e personalità, c’ero anch’io (in veste di persona naturalmente). Cosa ci facevo in questo salotto del rock & roll, in questo sacello del blues, in questo tempio del jazz? Conducevo la mia serissima e un po’ pretenziosa trasmissione di poesia fino a quando un giorno, Fabrizio Berrini entrò e mi disse: “Adesso basta menate! A New York va fortissimo un nuovo musicista e tu sei qui con ‘sta roba?! Si chiama Bruce Springsteen…”
Fu quella frase a farmi capire che la cultura poteva essere anche altro. Anche Wim Wenders disse che fu il rock a salvargli la vita, come successe a me; ma oltre al rock me la salvò Fabrizio Berrini. Lui ha sempre avuto un chiodo fisso dopo che la radio era diventata qualcos’altro e dopo che fu ceduta a qualcun altro: farla rinascere. E così dopo qualche cena tra vecchi amici, qualche “mandato esplorativo”, e con l’aiuto di un manipolo di ardimentosi, come si direbbe in una cronaca risorgimentale, ci è riuscito.
Oggi Radio Kabouter non è più “on air”, ma è “on line”, segno dei tempi, ma quel che importa è che è viva e vegeta. È una cosa diversa? È diversa poiché sono diversi i tempi e non potrebbe che essere così, ma quel che importa è che trasmette la più bella, esaltante, irripetibile musica che si possa ascoltare! Non potete cavarvela con un like o con un emoj, e neppure è sufficiente leggere questo pezzo e passare oltre.
No, proprio non potete; prendetevi mezz’ora di tempo, dimenticate la pandemia, e andate su www.radiokabouter.it la ritroverete lì, fresca come un fiore, viva come il rock, eterna come un mito. Provare per credere…
Nell’immagine in evidenza: “Ascoltatori e ascoltati”, un fan di Radio Kabouter