Nuovi spazi e progetti per Nòva. Alla ex caserma Passalacqua si lavora per il futuro dei giovani

In quasi sei anni di attività il progetto è cresciuto tanto che i locali al piano terra non bastano più. Dal primo avvio nel 2015, quando ancora si chiamava Net for neet, sono cambiate molte cose alla ex caserma Passalacqua, tra cui il nome dello spazio che ora si chiama Nòva. L’attività, nata per volontà del Comune con il contributo di enti e fondazioni del territorio, si è sviluppata grazie a un fundraising che ha permesso di raccogliere oltre 2 milioni di euro.

Oggi Nòva è diventato un esperimento di hub sociale, aggregazione giovanile e produzione culturale che vede i servizi sociali del Comune in prima fila, ma con sette associazioni impegnate nella gestione: Sermais, Aurive, OrientaMente, Oltre le Quinte, Novarajazz, Elios e Confronti oltre a due partenariati, uno con l’Università del Piemonte Orientale per il progetto sulla peer education, l’altor con Top Ix di Torino per quanto riguarda l’infrastruttura tecnologica.

«Qui dentro la progettazione è partecipata e implementata da gruppi di giovani strutturati che hanno interesse per la cura della città insieme ad altri in carico ai servizi sociali del Comune – spiega l’educatore Davide Ricordi -. Si producono attività e percorsi di orientamento, laboratori pratici ed espressivi, innovazione digitale: uno spazio nel quale ci sono operatori pubblici e del privato sociale che insieme guardano i bisogni e le prospettive per capire come migliorare la condizione degli under 35 a Novara in termini aggregativi e di formazione. Per questo motivo ci sono la sala prove e di registrazione, lo sportello di aiuto e ascolto dei giovani durante il periodo scolastico, danza e orchestra per disabili, laboratori innovazione digitale con la stampa 3D, offrendo competenze a ragazzi che non diversamente non potrebbero permettersele. Lo stesso principio viene applicato a Fadabrav, la falegnameria sociale di Sant’Agabio, nata qui a Nòva. E poi gruppi che si occupano di cittadinanza attiva gestiti da Sermais oppure il servizio civile e l’orientamento al lavoro con Aurive»

Durante i lockdown le attività sono continuate anche a distanza e ora il Comune ha intenzione di investire 5 milioni di euro per occupare anche i due piani superiori della caserma allo scopo di farne un ostello, un coworking, allargare i laboratori, creare un’area food e sistemare lo spazio verde esterno.

«Nei prossimi mesi, in relazione alla ristrutturazione, andremo a definire una governance che mira ad allargare il paternariato nella logica di portare qui esperienze e passioni orientate a generare valore sociale – spiega Mattia Anzaldi di Sermais -. Nessuna delle associazioni che opera a Nòva ha la sede qui proprio perchè questo è uno spazio di creazione e interazione: diversamente ognuno di noi avrebbe la propria area riservata e sarebbe niente di più che una sede di quartiere. Lo sviluppo verticale degli spazi, inoltre, ci permetterà di ampliare anche i progetti: grazie alla collocazione dell’ostello al secondo piano, potremo puntare sulla residenzialità artistica ospitando relatori di conferenze o artisti che si fermano qui in città; il coworking al primo piano, in un momento in cui lo smart working ci riguarda sempre di più, potrà mettere in connessione persone che svolgono lavori molto diversi tra loro e lo spazio al piano terra continuerà a essere abitato dalle realtà che ci lavorano, con un ruolo fondamentale del Comune, allargando la collaborazione ad altre associazioni. In quest’ottica diventa fondamentale la realizzazione di un’area food che faccia da collante alle attività che si svolgeranno qui durante la giornata».

«Le politiche sociali del Comune hanno fatto una scommessa enorme su questo spazio – conclude Ricordi – e cioè che gli educatori affidano ragazzi problematici, spesso minori, nelle mani di “non addetti ai lavori” che svolgono attività diverse. Questo significa per il pubblico accettare di perdere il controllo su un caso affidato: invece di vivere in un contesto protetto solo con educatore – utente, qui si mischiano altre opportunità eterogenee che abbracciano diversi aspetti della vita».

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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Nuovi spazi e progetti per Nòva. Alla ex caserma Passalacqua si lavora per il futuro dei giovani

In quasi sei anni di attività il progetto è cresciuto tanto che i locali al piano terra non bastano più. Dal primo avvio nel 2015, quando ancora si chiamava Net for neet, sono cambiate molte cose alla ex caserma Passalacqua, tra cui il nome dello spazio che ora si chiama Nòva. L’attività, nata per volontà del Comune con il contributo di enti e fondazioni del territorio, si è sviluppata grazie a un fundraising che ha permesso di raccogliere oltre 2 milioni di euro.

Oggi Nòva è diventato un esperimento di hub sociale, aggregazione giovanile e produzione culturale che vede i servizi sociali del Comune in prima fila, ma con sette associazioni impegnate nella gestione: Sermais, Aurive, OrientaMente, Oltre le Quinte, Novarajazz, Elios e Confronti oltre a due partenariati, uno con l’Università del Piemonte Orientale per il progetto sulla peer education, l’altor con Top Ix di Torino per quanto riguarda l’infrastruttura tecnologica.

«Qui dentro la progettazione è partecipata e implementata da gruppi di giovani strutturati che hanno interesse per la cura della città insieme ad altri in carico ai servizi sociali del Comune – spiega l’educatore Davide Ricordi -. Si producono attività e percorsi di orientamento, laboratori pratici ed espressivi, innovazione digitale: uno spazio nel quale ci sono operatori pubblici e del privato sociale che insieme guardano i bisogni e le prospettive per capire come migliorare la condizione degli under 35 a Novara in termini aggregativi e di formazione. Per questo motivo ci sono la sala prove e di registrazione, lo sportello di aiuto e ascolto dei giovani durante il periodo scolastico, danza e orchestra per disabili, laboratori innovazione digitale con la stampa 3D, offrendo competenze a ragazzi che non diversamente non potrebbero permettersele. Lo stesso principio viene applicato a Fadabrav, la falegnameria sociale di Sant’Agabio, nata qui a Nòva. E poi gruppi che si occupano di cittadinanza attiva gestiti da Sermais oppure il servizio civile e l’orientamento al lavoro con Aurive»

Durante i lockdown le attività sono continuate anche a distanza e ora il Comune ha intenzione di investire 5 milioni di euro per occupare anche i due piani superiori della caserma allo scopo di farne un ostello, un coworking, allargare i laboratori, creare un’area food e sistemare lo spazio verde esterno.

«Nei prossimi mesi, in relazione alla ristrutturazione, andremo a definire una governance che mira ad allargare il paternariato nella logica di portare qui esperienze e passioni orientate a generare valore sociale – spiega Mattia Anzaldi di Sermais -. Nessuna delle associazioni che opera a Nòva ha la sede qui proprio perchè questo è uno spazio di creazione e interazione: diversamente ognuno di noi avrebbe la propria area riservata e sarebbe niente di più che una sede di quartiere. Lo sviluppo verticale degli spazi, inoltre, ci permetterà di ampliare anche i progetti: grazie alla collocazione dell’ostello al secondo piano, potremo puntare sulla residenzialità artistica ospitando relatori di conferenze o artisti che si fermano qui in città; il coworking al primo piano, in un momento in cui lo smart working ci riguarda sempre di più, potrà mettere in connessione persone che svolgono lavori molto diversi tra loro e lo spazio al piano terra continuerà a essere abitato dalle realtà che ci lavorano, con un ruolo fondamentale del Comune, allargando la collaborazione ad altre associazioni. In quest’ottica diventa fondamentale la realizzazione di un’area food che faccia da collante alle attività che si svolgeranno qui durante la giornata».

«Le politiche sociali del Comune hanno fatto una scommessa enorme su questo spazio – conclude Ricordi – e cioè che gli educatori affidano ragazzi problematici, spesso minori, nelle mani di “non addetti ai lavori” che svolgono attività diverse. Questo significa per il pubblico accettare di perdere il controllo su un caso affidato: invece di vivere in un contesto protetto solo con educatore – utente, qui si mischiano altre opportunità eterogenee che abbracciano diversi aspetti della vita».

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