Conviensi adunque esser prudente, cioè savio;
e a ciò essere si richiede
buona memoria delle vedute cose,
e buona conoscenza delle presenti,
e buona provvidenza delle future.
Convivio, IV, 27
Sagge parole, quelle di Dante, precise e misurate, tutto il contrario del profluvio di termini da cui siamo inondati nel nostro quotidiano, spesso usati a sproposito e in chiave offensiva, da chi soprattutto presume di essere esperto in materia o colto, e invece spara sentenze o pseudo verità.
Nel Convivio il poeta dice chiaramente che prudente significa assennato, saggio, sapiente, capace di far tesoro di una conoscenza acquisita e spesa con avvedutezza per affrontare il futuro.
Quando immagina di sbucare con Virgilio sulla spiaggia del Purgatorio, vede brillare alte nel cielo australe quattro stelle eccezionalmente luminose, la cui bellezza lo commuove così tanto da fargli considerare l’emisfero boreale “vedovo” di tanto splendore. Queste luci rappresentano le quattro virtù cardinali, già note a Platone e reinterpretate dalla cultura cristiana come necessarie per guidare l’anima alle soglie del divino. Temperanza, fortezza, giustizia e soprattutto prudenza gli uomini contemporanei sembrano averle dimenticate, smarrite in una società profondamente secolarizzata, che non le considera più come fondamentali strumenti per un uomo inteso come essere sociale e ragionevole. Eppure, per limitarci alla prudenza, essa è imprescindibile per aiutarci a discernere intorno a ciò che si deve operare; senza la prudenza il sapere non è mezzo di liberazione, ma fonte di errore.
Dante ribadisce il concetto nel cielo del Sole in Paradiso, il cielo degli spiriti sapienti, al cospetto di San Tommaso d’Aquino: il grande filosofo lancia un monito a non emettere giudizi precipitosi.
Non sien le genti, ancor, troppo sicure,
a giudicar, sì come quei che stima
le biade in campo pria che sien mature…”
Paradiso XIII, 130 – 32.
San Tommaso vuole indurre Dante ad avere i piedi di piombo quando giudica su una questione non ovvia, poiché è decisamente stolto l’uomo che si lascia andare a giudizi affrettati su ciò che non conosce: l’opinione corrente lo porta a conclusioni errate.
Sono sicura che Dante assolverebbe i social da alcune colpe, che sono in realtà le nostre, e ci inviterebbe all’esercizio di alcune virtù: umiltà di ammettere quando si sbaglia; pazienza nell’evitare le discussioni animate; temperanza nel non parlare troppo di noi, anche quando le circostanze ce lo consentirebbero; fortezza per non soccombere a chi ci ostacola; giustizia di dire le cose come stanno perché si conoscono; ma soprattutto onestà, che impedisce di diffondere informazioni infondate.
Non sarebbe male allargare la zona infernale degli incontinenti, nello specifico quelli affetti da incontinenza verbale con gravi effetti collaterali.
[Immagine: Tiziano, Allegoria della prudenza. 1570. Londra, National Gallery]