Giancarlo Nino Locatelli a Novara Jazz

È al Mulino Vecchio di Bellinzago, nel cuore del Parco del Ticino, che, per chi vi scrive, ricomincia “Novara Jazz” nell’edizione 2021, in versione riveduta e corretta a causa delle note vicende epidemiche e pandemiche (alle quali aggiungo qualche mia vicissitudine famigliare). Anche se comincio a detestare l’inflazionato termine di “ripartenza”, pur sempre di un nuovo inizio si tratta e, come è noto, la forza di volontà smuove le montagne e non scoraggia certo gli organizzatori e l’intero staff di Novara Jazz che, dopo l’esordio allo “Spazio Nova” a Novara il 3 giugno scorso con O-Janà e LLovage, è proseguito appunto nel bellissimo “green” antistante il Mulino Vecchio di Bellinzago con il suggestivo clarinetto “solo” di Giancarlo Nino Locatelli, che ha presentato brani tratti e rivistati dal repertorio di un mostro sacro del jazz come Steve Lacy.

Come ha ricordato lo stesso Locatelli, nella dottissima presentazione, gli otto pezzi in programma, idealmente dedicati ai sette musicisti con i quali Locatelli suona, hanno titoli intrisi di suggestioni orientali, giapponesi in particolare, come “Il fiore e la farfalla”, “Il cammino di Buddha” o “Tre haiku”. I brani di Lacy, sono spesso vere e proprie “canzoni”, sulla cui struttura di base che consiste in una introduzione, in una esposizione del tema e in una ripetizione dell’introduzione, Locatelli inserisce una propria improvvisazione, per poi concludere con un ritorno al tema, insomma quasi una “forma-sonata” di un jazz minimale, intimo e allo stesso tempo corposo come tutta la musica di Lacy.

Ad accompagnare la musica, un altrettanto minimale esercizio dinamico di posizionamento di Locatelli, quasi a sottolineare le soglie di passaggio tra un movimento e l’altro. Un approccio molto originale e molto sofisticato per proporre una musica ad alto tasso intellettuale e spirituale, così difficile e così facile, come sa essere sempre la musica dei grandi musicisti.

Non è certo un peccato dire che Nino Locatelli e Steve Lacy hanno creato, con la complicità di un luogo dall’incanto discreto come il vecchio mulino immerso nel verde, un momento di rara bellezza, forse più che mai adatto a riprendere contatto con la realtà del dopo-pandemia, dove speriamo tutto possa essere un po’ diverso e un po’ più pieno di senso e di riflessione, come la musica di Steve Lacy che ci ha proposto Giancarlo Nino Locatelli.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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È al Mulino Vecchio di Bellinzago, nel cuore del Parco del Ticino, che, per chi vi scrive, ricomincia “Novara Jazz” nell’edizione 2021, in versione riveduta e corretta a causa delle note vicende epidemiche e pandemiche (alle quali aggiungo qualche mia vicissitudine famigliare). Anche se comincio a detestare l’inflazionato termine di “ripartenza”, pur sempre di un nuovo inizio si tratta e, come è noto, la forza di volontà smuove le montagne e non scoraggia certo gli organizzatori e l’intero staff di Novara Jazz che, dopo l’esordio allo “Spazio Nova” a Novara il 3 giugno scorso con O-Janà e LLovage, è proseguito appunto nel bellissimo “green” antistante il Mulino Vecchio di Bellinzago con il suggestivo clarinetto “solo” di Giancarlo Nino Locatelli, che ha presentato brani tratti e rivistati dal repertorio di un mostro sacro del jazz come Steve Lacy.

Come ha ricordato lo stesso Locatelli, nella dottissima presentazione, gli otto pezzi in programma, idealmente dedicati ai sette musicisti con i quali Locatelli suona, hanno titoli intrisi di suggestioni orientali, giapponesi in particolare, come “Il fiore e la farfalla”, “Il cammino di Buddha” o “Tre haiku”. I brani di Lacy, sono spesso vere e proprie “canzoni”, sulla cui struttura di base che consiste in una introduzione, in una esposizione del tema e in una ripetizione dell’introduzione, Locatelli inserisce una propria improvvisazione, per poi concludere con un ritorno al tema, insomma quasi una “forma-sonata” di un jazz minimale, intimo e allo stesso tempo corposo come tutta la musica di Lacy.

Ad accompagnare la musica, un altrettanto minimale esercizio dinamico di posizionamento di Locatelli, quasi a sottolineare le soglie di passaggio tra un movimento e l’altro. Un approccio molto originale e molto sofisticato per proporre una musica ad alto tasso intellettuale e spirituale, così difficile e così facile, come sa essere sempre la musica dei grandi musicisti.

Non è certo un peccato dire che Nino Locatelli e Steve Lacy hanno creato, con la complicità di un luogo dall’incanto discreto come il vecchio mulino immerso nel verde, un momento di rara bellezza, forse più che mai adatto a riprendere contatto con la realtà del dopo-pandemia, dove speriamo tutto possa essere un po’ diverso e un po’ più pieno di senso e di riflessione, come la musica di Steve Lacy che ci ha proposto Giancarlo Nino Locatelli.

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