L’anno è il 1992 e per la prima volta si assiste quasi a una sovrapposizione fra la fine della Legislatura parlamentare e quella del mandato presidenziale. Le elezioni politiche del 5 e 6 aprile vedono il ridimensionamento dei partiti tradizionali, la scomparsa di fatto del Pci, diviso fra il nuovo Pds e Rifondazione, e l’ingresso di una novità come la Lega Nord.
Il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, il cui mandato –caratterizzato nel suo ultimo periodo da profonde esternazioni, che la stampa e non solo definì “picconate” – avrebbe dovuto concludersi a luglio, si dimette invece improvvisamente il 25 aprile, lasciando alle nuove camere appena insediate il compito di eleggere il suo successore e a quest’ultimo quello di risolvere la crisi di Governo.
Fin dai primi scrutini, iniziati il 13 maggio dal presidente della Camera, il novarese Oscar Luigi Scalfaro, si intuisce che la partita sia tutt’altro che facile. Quasi tutti votano i “candidati di bandiera”, inclusa la Dc che però sta lavorando da tempo per proporre la “carta” Arnaldo Forlani, se non addirittura quella di Giulio Andreotti.
Una situazione di immobilismo che dura diversi giorni, fra nomi proposti e poi ritirati e i soliti “franchi tiratori” che ogni tanto fanno capolino. Dalla 14a votazione i democristiani e le altre formazioni laiche decidono di appoggiare Giuliano Vassalli, candidatura proposta sin dall’inizio dal Psi, ma pur avendo i “numeri” teorici rimane al di sotto del quorum. Il Pds, tentando di guadagnare terreno, controbatte con il giurista cattolico Giovanni Conso, ex presidente della Corte costituzionale, ma senza esito.
Si arriva a sabato 23 maggio, quando dopo il 15° strutinio giunge a Montecitorio la notizia dell’assassinio di Giovanni Falcone e della sua scorta nella strage di Capaci. Di fronte a una non più trascurabile pressione dell’opinione pubblica di fronte a quanto accaduto cadono anche le possibilità di una nuova candidatura di Andreotti, giudicata “poco presentabile”. La situazione si sblocca finalmente nelle ore successive, quando tutte le forze politiche trovano un accordo sul nome di Oscar Luigi Scalfaro, in Parlamento sin dai tempi della Costituente e prima ancora dirigente dell’Azione Cattolica e magistrato nei mesi della Liberazione, giudicata da tutti figura autorevole, strenuo difensore della Carta costituzionale, nonché modello etico per una classe politica già in quella fase alle prese con i primi sussulti che sarebbero sfociati in un devastante effetto domino. L’esponente democristiano novarese viene così eletto lunedì 25 maggio con 672 voti su 1.002, entrando ufficialmente in carica tre giorni dopo al termine della cerimonia di giuramento.
La figura di Scalfaro, che concluse la sua esperienza di capo dello Stato nel 1999, sarà ulteriormente ricordata sabato 29 gennaio – a dieci anni esatti dalla sua scomparsa – alle ore 10 con una concelebrazione eucaristica nel Duomo di Novara presieduta dal vescovo, monsignor Franco Giulio Brambilla. “Il presidente di tutti gli italiani – scrivono il nipote Paolo Cattaneo e i familiari – ha sempre mantenuto un forte legame con Novara e la terra di San Gaudenzio, dove è nato, ha studiato e lavorato al servizio degli altri, soprattutto dei più bisognosi”.