Il jazz è meraviglioso soprattutto quando ci si prepara ad ascoltare qualcosa che poi si rivela essere qualcos’altro. È accaduto anche sabato sera, allo Spazio Nòva di Novara, in occasione del concerto di “Chris Pitsiokos & Mulhouse Ensemble”nell’ambito della stagione invernale di Novara Jazz. Se in un ensemble coabitano strumenti come la chitarra classica e la ghironda, e il gruppo fa riferimento ad una città piantata dentro il cuore dell’Europa, ci si aspetterebbe di ascoltare un jazz “folkeggiante” (stai a vedere che ho inventato un termine nuovo). E invece no, o forse un po’ sì è un po’ no, certo è che, chi vedendo una ghironda, ha pensato di trovarsi immerso in un mondo fatto di elfi ed unicorni, forse è rimasto un po’ deluso, ma chi frequenta la scena del jazz contemporaneo e di ricerca, sa bene che questa ricerca è ormai andata molto oltre quello che si poteva immaginare.
Ma si sa che la ricerca si auto-riproduce all’infinito e i traguardi non sono mai visibili, né ben definiti e comunque, e qui sta il bello, non si raggiungono mai. Ecco allora che invece dei boschi incantati si viene catapultati in uno studio della “Scuola di Darmstadt”. Scherzi a parte, al primo ascolto, qualche evocazione folk i magnifici musicisti del “Chris Pitsiokos & Mulhouse Ensemble” lo hanno data, facendola però vorticare subito in un enorme acceleratore di particelle musicali che ha trasformato la primigenia materia in un caleidoscopio di suoni di difficile classificazione (per fortuna), ma certamente segnati da una spiccata ricerca dissonante ed elettronica. Il gruppo, che porta il nome della città dove nel 2020 si è formato l’ensemble, ha incantato per il multiforme colorismo sonoro e per le atmosfere caratterizzate da un jazz di ricerca con “spot” su assonanze decisamente folk.
Il bello è però che questo folk non si sa da dove arrivi, molti passaggi soprattutto quelli della chitarra di Nicolas Ingras e della ghironda di Morgan Creze hanno una denotazione folk, ma non una connotazione geografica o etnica precisa. Ed è in questo che risiede l’assoluta originalità di questo Ensemble che, ricordiamolo, è composto da musicisti provenienti da quattro paesi: dagli USA Chris Pitsiokos al sax contralto, dalla Francia Baptiste Defremont alsynth, Morgan Creze alla ghironda, Nicolas Ingrand alla chitarra preparata, Camille Dianoux alle campionature e all’elettronica, Romane Rosser al pianoforte e voce, Siham Maidon al vibrafono, dalla Svizzera Martin Hess al contrabbasso e dall’Italia Nicola Arata alla batteria.
Una mescolanza ormai indispensabile nel jazz, musica di popoli e di idee in movimento. Nel bellissimo concerto di sabato sera, c’è stato spazio per molte altre suggestioni oltre a quelle già citate, che vanno dall’apporto del piano preparato e allo “spechless” asemantico di Romane Rosser, alla batteria assai poco tradizionale di Nicola Arata (che di ricerca, anche sul campo, se ne intende parecchio), al mutevole vibrafono nordico e temperato di Siham Maidon e, naturalmente, al collante dell’intero ensemble, il sax di Chris Pitsiokos che sembra essere il discreto trait-d’union tra le varie individualità e il filo conduttore di un “set” a tratti fluente, ma anche ricco di asperità sonore e che alterna momenti delicati e vagamente melodici a sperimentazioni ardite.
Dire quale posto occupino le differenti nazionalità, risulta essere difficile, o per meglio dire arbitrario, perché ormai le contaminazioni hanno contaminato tutto il contaminabile e il jazz, ma anche le arti visive se mi è concessa una riflessione, è la materia stessa di questa contaminazione. Quel che c’è di bello è che dopo il processo contaminatorio, è rimasta la musica, quella di gran qualità ascoltata sabato sera, musica che non annulla le differenze, ma le amalgama rendendo il processo compositivo ed esecutivo ancora più ricco. Ed è molto importante, ancora di più nei tempi tormentati che stiamo vivendo, comprendere che l’insieme è sempre di più della somma delle parti.