Libera Novara e Avviso Pubblico, insieme al Comune di Cressa, hanno voluto ricordare i 30 anni della strage di via D’Amelio – che ricorre oggi, 19 luglio – nella quale persero la vita oltre a Paolo Borsellino, Agostina Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuele Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli.
Tanti i cittadini presenti, ma anche amministratori locali e sindaci di Cressa, Suno, San Nazzaro Sesia, Fontaneto d’Agogna e Oleggio Castello che ieri, 18 luglio, hanno partecipato all’incontro che si è tenuto al circolo lavoratori di Cressa.
È stato il consigliere regionale Domenico Rossi, già referente provinciale di Libera e fondatore dell’Osservatorio Provinciale sulle Mafie, a fare il punto sui passaggi storici e su quale fosse la posta in gioco, su una vicenda che ancora oggi richiede impegno per la verità e giustizia, di fronte a quello che è stato definito “il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana” come si legge nelle motivazioni dei giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta. «Parlare della strage di via D’Amelio – ha detto Rossi – significa entrare a piene mani nella storia oscura di questo Paese. In un momento di radicali cambiamenti che avevano visto solo pochi anni prima cadere il muro di Berlino, la fine dei grandi partiti storici del ‘900, l’avvio di Mani Pulite e le condanne definitive del maxi processo nei confronti dei boss di Cosa Nostra, l’Italia stava attraversando un passaggio delicato, nel quale gli interessi in gioco erano enormi e non riguardavano solo la Sicilia e la mafia siciliana. Chi voleva la morte di Borsellino a così poco tempo dalla strage di Capaci? Chi tradì il giudice? Dov’è l’agenda rossa? Perché non fu mai sentito dai giudici di Caltanissetta. Troppe le domande senza risposta, su cui, giustamente, la famiglia e il Paese chiedono chiarezza».
«Ma c’è un altro elemento che riguarda la nostra capacità di essere degni eredi di quel sacrificio, saper farsi carico dell’insegnamento profondo di quella stagione dolorosa: non è sufficiente la repressione. Serve un lavoro volto a un cambiamento culturale, etico, sociale e politico che deve riguardare tutti noi. La delega e l’indifferenza non sono un’opzione possibile» ha aggiunto Rossi.
La serata è stata l’occasione per fare il punto sulla situazione delle mafie nel nostro territorio, a partire dal contesto piemontese e lombardo, rispetto ai quali il Novarese rappresenta un confine, come segnalato anche dalla Direzione Investigativa Antimafia nel suo ultimo report semestrale, interessato soprattutto dal 2010 in poi da inchieste riguardanti diversi gruppi criminali. A tracciare il panorama novarese è stato Ryan Coretta, referente del coordinamento provinciale di Libera, che ha sottolineato l’importanza della lotta culturale e sociale: «Le operazioni antimafia degli ultimi anni hanno reso innegabile la presenza delle cosche nei nostri territori. Oggi, paradossalmente, il rischio è invece quello della normalizzazione sia da parte dell’opinione pubblica, spesso indifferente alle vicende di criminalità organizzata e corruzione, sia da parte dei soggetti appartenenti all’area grigia, che cercano sempre più di propria iniziativa il rapporto con i mafiosi, riconoscendone l’influenza e l’efficienza nel fornire servizi». Per contrastare questa tendenza è fondamentale l’attività di presidio del territorio, anche nei piccoli centri, da parte della cittadinanza: «Sarebbe molto importante anche a Cressa e nei paesi circostanti mettere insieme i singoli e le realtà associative, come nello spirito di Libera, al fine di rendere il territorio maggiormente impermeabile agli interessi criminali» ha spiegato il referente di Libera.
Diego Sarno, consigliere regionale e coordinatore di Avviso Pubblico in Piemonte, ha dichiarato: «Oggi, purtroppo, l’eredità di Borsellino non è stata ancora raccolta appieno, in particolare dalla politica. Abbiamo il dovere di riaffermare la necessità di una maggiore radicalità nel troncare ogni rapporto tra mafia e politica: se la mafia è ancora forte nel promettere di piegare i processi democratici ed elettorali per gli interessi di pochi e a scapito del bene comune, sta a noi, cittadini che vogliono fare politica sana sul territorio, l’onere innanzitutto di conoscere in profondità quello stesso territorio, sapendo esattamente con chi sedersi al tavolo per studiare e programmare le progettualità essenziali allo sviluppo territoriale, e quindi di allontanare quei soggetti pericolosi che avviluppano le loro radici attorno ad ogni forma di guadagno e tornaconto».
Sarno ha aggiunto: «Oggi raccogliere adeguatamente l’eredità di chi si è battuto e ha finito col dare la propria vita nella lotta contro le mafie significa quantomeno sapere interpretare quella radicalità: non ci si può più nascondere dietro alle facili scuse di chi ignora la natura criminale delle realtà da cui prende voti o con cui sviluppa progetti per il territorio». Il consigliere dem ha poi concluso: «Se non sai di sederti con un mafioso, rischi di essere più pericoloso di chi lo fa consapevolmente».