John Sellars, Sette brevi lezioni sull’Epicureismo

Quante volte abbiamo sentito affermare da qualcuno “Io sono un inguaribile epicureo?” A me è capitato spesso, anche se, quasi sempre, il filosofo greco è citato a sproposito o quantomeno in maniera imprecisa. Chi crede che Epicuro fosse un godereccio dedito a tutti i possibili piaceri materiali si sbaglia e si sbaglia di grosso. A rimettere ordine nella materia, se ce ne fosse bisogno, e a mio avviso ce n’era bisogno eccome, è John Sellars docente di filosofia al Royal Hollowey University of London, nel suo volumetto “Sette brevi lezioni sull’epicureismo” (sottotitolo “Epicuro e l’arte della felicità”), appena uscito nelle collana “Vele” di Einaudi. Epicuro, nella sua Comunità del Giardino, non propugnava certo una ricerca della felicità e della soddisfazione dei piaceri, come possiamo intenderla noi oggi.

Si tratta invece di qualcosa di molto più impalpabile e anche di molto meno materiale. Ma questa prospettiva aberrata del pensiero di Epicuro ha origine antiche, tanto che lo stesso Orazio, benché scherzosamente, definì il filosofo greco come “porcello ingordo”. Niente di più lontano dalla verità, poiché se è palese che una ricerca della felicità debba passare anche attraverso il soddisfacimento di bisogni materiali, è pur vero che il nucleo del pensiero epicureo, non è la spasmodica ricerca di beni materiali, bensì la ricerca di un equilibratissimo equilibrio tra cessazione della sofferenza e ricerca della felicità. Di cosa abbiamo realmente bisogno per essere felici? Solo delle cose “naturali” e “necessarie”.

È ovvio che a questo punto si potrebbe discutere a lungo sul relativismo del concetto di “necessario” e magari un po’ meno sul concetto di “cose naturali”, ma è anche evidente che chiunque di noi può discernere cosa sia effettivamente necessario da cosa non lo sia affatto. “Vuoto è il discorso di quel filosofo che non guarisce le passioni dell’anima” scrive Epicuro, ed è proprio l’anima a definire il cosiddetto “piacere statico”, ovvero quello stato in cui il piacere è dato dalla soddisfazione di un bisogno primario, come per esempio la fame che viene saziata dal cibo, senza però che il cibo debba necessariamente diventare un “piacere dinamico”, ovvero una volta raggiunto lo stato di mancanza di fame, (piacere statico), all’uomo saggio, non necessitano i piaceri (dinamici) della gola. Insomma per raggiungere il piacere occorre la mediazione della mente che evita di farci indulgere in una edonistica e psicotica ricerca di sempre più piacere.

Desiderare una casa è un desiderio necessario, ma secondo Epicuro desiderarne una lussuosa è un desiderio naturale, ma assolutamente non necessario. Dopo duemila anni di pensiero e di edonismo senza freni, è piacevolissimo indugiare sulle raffinatezze del pensiero greco, rendendosi pienamente conto di quanto ancora ci possa insegnare. Parallelamente alla disamina sulla ricerca della soddisfazione dei bisogni, John Sellars in queste cristalline lezioni, pone l’attenzione sull’atteggiamento del filosofo verso la morte. Epicuro sostiene che il dolore fisico, benché sopportabile se confortato dal pensiero e dalla meditazione, è la soglia inevitabile che ci conduce alla morte, della quale però è decisamente inutile preoccuparsi, poiché quando la morte, la nostra morte sarà presente, noi non lo saremo più. Persino linguisticamente “essere morti” è un inaccettabile ossimoro, poiché “l’essere” esclude il “non essere” (tipico della morte).

Così come sono inutili le domande sulle eventuali forme di vita oltre la morte. Scrive in proposito Sellars: “Se la nostra non-esistenza prima della nascita non è un problema, allora perché preoccuparsi della non-esistenza dopo la morte? (…) Non ci perdevamo nulla a non essere stati vivi l’anno precedente alla nostra nascita, perché se fossimo nati un anno prima saremmo stati persone diverse. Ma ci sono cose di ogni genere che teoricamente potremmo fare l’anno dopo la nostra morte, se solo vivessimo un po’ di più…”.

Una lettura agile e profonda per riscoprire un filosofo spesso misconosciuto e ancora più spesso mal interpretato.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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John Sellars, Sette brevi lezioni sull’Epicureismo

Quante volte abbiamo sentito affermare da qualcuno “Io sono un inguaribile epicureo?” A me è capitato spesso, anche se, quasi sempre, il filosofo greco è citato a sproposito o quantomeno in maniera imprecisa. Chi crede che Epicuro fosse un godereccio dedito a tutti i possibili piaceri materiali si sbaglia e si sbaglia di grosso. A rimettere ordine nella materia, se ce ne fosse bisogno, e a mio avviso ce n’era bisogno eccome, è John Sellars docente di filosofia al Royal Hollowey University of London, nel suo volumetto “Sette brevi lezioni sull’epicureismo” (sottotitolo “Epicuro e l’arte della felicità”), appena uscito nelle collana “Vele” di Einaudi. Epicuro, nella sua Comunità del Giardino, non propugnava certo una ricerca della felicità e della soddisfazione dei piaceri, come possiamo intenderla noi oggi.

Si tratta invece di qualcosa di molto più impalpabile e anche di molto meno materiale. Ma questa prospettiva aberrata del pensiero di Epicuro ha origine antiche, tanto che lo stesso Orazio, benché scherzosamente, definì il filosofo greco come “porcello ingordo”. Niente di più lontano dalla verità, poiché se è palese che una ricerca della felicità debba passare anche attraverso il soddisfacimento di bisogni materiali, è pur vero che il nucleo del pensiero epicureo, non è la spasmodica ricerca di beni materiali, bensì la ricerca di un equilibratissimo equilibrio tra cessazione della sofferenza e ricerca della felicità. Di cosa abbiamo realmente bisogno per essere felici? Solo delle cose “naturali” e “necessarie”.

È ovvio che a questo punto si potrebbe discutere a lungo sul relativismo del concetto di “necessario” e magari un po’ meno sul concetto di “cose naturali”, ma è anche evidente che chiunque di noi può discernere cosa sia effettivamente necessario da cosa non lo sia affatto. “Vuoto è il discorso di quel filosofo che non guarisce le passioni dell’anima” scrive Epicuro, ed è proprio l’anima a definire il cosiddetto “piacere statico”, ovvero quello stato in cui il piacere è dato dalla soddisfazione di un bisogno primario, come per esempio la fame che viene saziata dal cibo, senza però che il cibo debba necessariamente diventare un “piacere dinamico”, ovvero una volta raggiunto lo stato di mancanza di fame, (piacere statico), all’uomo saggio, non necessitano i piaceri (dinamici) della gola. Insomma per raggiungere il piacere occorre la mediazione della mente che evita di farci indulgere in una edonistica e psicotica ricerca di sempre più piacere.

Desiderare una casa è un desiderio necessario, ma secondo Epicuro desiderarne una lussuosa è un desiderio naturale, ma assolutamente non necessario. Dopo duemila anni di pensiero e di edonismo senza freni, è piacevolissimo indugiare sulle raffinatezze del pensiero greco, rendendosi pienamente conto di quanto ancora ci possa insegnare. Parallelamente alla disamina sulla ricerca della soddisfazione dei bisogni, John Sellars in queste cristalline lezioni, pone l’attenzione sull’atteggiamento del filosofo verso la morte. Epicuro sostiene che il dolore fisico, benché sopportabile se confortato dal pensiero e dalla meditazione, è la soglia inevitabile che ci conduce alla morte, della quale però è decisamente inutile preoccuparsi, poiché quando la morte, la nostra morte sarà presente, noi non lo saremo più. Persino linguisticamente “essere morti” è un inaccettabile ossimoro, poiché “l’essere” esclude il “non essere” (tipico della morte).

Così come sono inutili le domande sulle eventuali forme di vita oltre la morte. Scrive in proposito Sellars: “Se la nostra non-esistenza prima della nascita non è un problema, allora perché preoccuparsi della non-esistenza dopo la morte? (…) Non ci perdevamo nulla a non essere stati vivi l’anno precedente alla nostra nascita, perché se fossimo nati un anno prima saremmo stati persone diverse. Ma ci sono cose di ogni genere che teoricamente potremmo fare l’anno dopo la nostra morte, se solo vivessimo un po’ di più…”.

Una lettura agile e profonda per riscoprire un filosofo spesso misconosciuto e ancora più spesso mal interpretato.

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