L’anno prossimo, nel 2023, saranno trascorsi trent’anni dalle prime mosse del sistema maggioritario attraverso i referendum Segni.
I referendum promossi da un deputato cattolico moderato come Mario Segni, oggi uscito dalla scena politica, furono senza dubbio una grande stagione di speranza in una riforma istituzionale che potesse rigenerare la democrazia ormai stanca e afflitta da un forte astensionismo elettorale. Avevo anch’io trent’anni, proprio trent’anni fa, anch’io firmai e fui pieno di entusiasmo e di fiducia .
Segni fu appoggiato soprattutto, non si deve dimenticare , dal Pds di Achille Occhetto, il segretario che aveva abbandonato il nome del Pci e il simbolo per portare il più grande partito di sinistra all’opposizione ormai da quasi cinquant’anni, tranne la breve esperienza della solidarietà nazionale, finalmente al governo dell’Italia.
La sinistra fu, obbiettivamente, il forcipe dell’ostetrico Segni, abbandonando la sua tradizione proporzionalista.
Chi, però , oggettivamente fu capace di adattarsi meglio alle regole del maggioritario e capace di vincere nel bipolarismo fu invece Berlusconi con l’invenzione della doppia alleanza, al Nord con la Lega e al Sud con An, poi con l’invenzione del Pdl, cioè del partito unico del centrodestra, introducendo perfino il proporzionale con premio di maggioranza con il Porcellum.
Le maggioranze berlusconiane soffrirono però ugualmente di divisioni e contrapposizioni interne, prima Berlusconi contro Bossi e poi Berlusconi contro Fini che le logorarono non poco.
Per stare dietro a Berlusconi in modo efficace il centrosinistra si inventò l’Ulivo e poi il Pd, partito unico del centrosinistra sempre in difficoltà per alleanze e scontri alla sua sinistra con Rifondazione Comunista.
Alla fine centrosinistra e centrodestra hanno dovuto allearsi per nuovi governi per far fronte alla nascita di nuovi Terzi Poli: l’aggregazione di Monti al centro e soprattutto la nascita e il successo dei 5 Stelle che nel 2018 sono diventati il primo partito esprimendo addirittura il capo del Governo .
Anche in queste elezioni il bipolarismo fatica a mantenersi: con le difficoltà del Pd a costruire alleanze vista la tendenza dei 5 Stelle a non voler far parte organica di uno schieramento di destra o sinistra ma a mantenere la propria larga autonomia di azione e il tentativo terzopolista di Renzi.
Il numero degli astensionisti che la prima stagione del bipolarismo aveva recuperato è oggi invece in continua ed inarrestabile crescita.
Stare da una parte o dall’altra, non in un partito unico ma almeno in una coalizione, viene vissuto come una insopportabile camicia di forza da troppi politici e anche da troppi elettori.
Trent’anni di maggioritario con diverse varianti, tecniche elettorali, leaders e sigle non sono stati sufficienti a dare alla politica italiana un assetto compiutamente bipolare. È un dato di fatto su cui riflettere senza voler rilanciare sempre tutto ipotizzando nuove riforme costituzionali presidenzialistiche o semipresidenzialistiche.