Nel racconto ‘Le stagioni di Giacomo’ Mario Rigoni Stern, creatura e simbolo dell’altopiano di Asiago, dice ‘che le sette porte della contrada si aprono solo quando i cittadini salgono dalla pianura per fare vacanza. I discendenti di coloro che le avevano costruite con le pietre scavate dalle montagne e con i tronchi scelti nei nostri boschi non ci sono più. Non si accendono focolari, ma si fanno grigliate all’aperto nei fine settimana. Gli orti sono diventati parcheggi’.
La gente è davvero tanta qui, ma basta allontanarsi dai centri su qualche sentiero per ritrovarci nei luoghi che lui ci ha descritto. Non ci sono vette impervie, la prospettiva è orizzontale, le montagne aspre; sul monte Zebio, ‘la Busa del Carbon s’apriva davanti a noi ampia e senza luce. Attorno giravano i gradoni di roccia come un anfiteatro e tra l’uno e l’altro gradino, sulle cenge, nereggiavano i mughi. La sera ci colse di sorpresa sotto un abete’.
Dal Sacrario militare di Asiago sul colle Leiten, di cui Rigoni Stern racconta la costruzione in ‘Le stagioni di Giacomo’, la vista spazia sul paesaggio circostante: abeti, betulle, paesi, corsi d’acqua, ‘una giovane lepre che sbuca sgomenta dalle siepi…piccoli branchi di caprioli che dall’orlo dei boschi ci guardano passare’, come scrive in ‘Il bosco degli urogalli’.
I sentieri dell’altipiano sfruttano spesso strade e mulattiere di guerra: camminando qui, è davvero impossibile non subire una sorta di strana fascinazione di fronte alle tracce del primo conflitto mondiale; ancora più strano, di fronte all’ampiezza del panorama, alla dolcezza dei declivi e al silenzio, immaginare colpi di cannone e mitragliatrici che falciano i corpi di giovani soldati.
Lemerle,Val Magnaboschi, Monte Zovetto: qui si combatterono nel 1916 alcune feroci battaglie, grazie alle quali il nostro esercito riuscì a fermare l’avanzata della Strafexpedition verso la pianura. Ci si imbatte in cippi, croci, iscrizioni, crateri nei pascoli: nel sacrario del Leiten sono state traslate le salme di soldati italiani e austriaci prima tumulate nel cimitero di Val Magnaboschi, fuori dall’abitato di Cesuna, dove oggi rimangono in memoria alcuni abeti mozzi verniciati di bianco; proprio di fronte il cimitero militare inglese accoglie 183 soldati delle truppe britanniche che nel giugno del 1918 bloccarono l’offensiva austriaca.
Se si dorme, come ho fatto io, a Canove di Roana, non si può non affrontare il Monte Zebio con la mente alle pagine di ‘Un anno sull’altipiano’ di Emilio Lussu e, scrutando il Monte Fior, alle memorabili scene del film ‘Uomini contro’ di Francesco Rosi: lungo l’itinerario dell’Ecomuseo della Grande Guerra si trova il cimitero di 212 soldati della Brigata Sassari (presso la quale Lussu serviva come ufficiale di complemento) e, a lato di un cartello che richiama il nome dello scrittore, c’è la feritoia dove il generale Leone insiste a far affacciare un soldato, che viene ferito dal cecchino nemico.
‘Il generale guardò alle feritoie, ma non fu soddisfatto. Fece raccogliere un mucchio di sassi ai piedi del parapetto e vi montò sopra: così dritto, restava scoperto dal petto alla testa. Le pallottole dalle linee nemiche fischiarono intorno al generale. Lui rimase impassibile. “Se non hai paura”, disse rivolto al caporale, “fai quello che ha fatto il tuo generale”. Leone esprime un’idea di eroismo che non è altro che incoscienza e temerarietà; uno dei tanti episodi con cui Lussu ricorda la disumanità della vita nella trincea fredda e fangosa e l’insipienza degli alti comandi.
Nel romanzo di Lussu l’attenzione è anche per una natura tratteggiata in modo essenziale e preciso e uscita dal conflitto con monti devastati, interi boschi distrutti e abeti ridotti a tronchi anneriti: ‘Il battaglione procedeva nel bosco verso Casara Zebio, vi erano abeti; il terreno era coperto di cespugli, le cime degli alberi puntavano montagne rocciose […] Tutto intorno il sibilo delle falciate delle mitragliatrici, ininterrotto, faceva pensare ad un uragano. Le cime degli alberi, segate dalle raffiche, precipitavano al suolo con stridori sinistri’.
Il paesaggio letterario dell’altipiano non sarebbe completo senza il ‘Giornale di guerra e di prigionia’ di Gadda, uno scenario come cornice dell’azione, irrimediabilmente trasformato nell’ambiente naturale e antropico, e come correlativo oggettivo di stati d’animo o riflessioni: ‘Il paese di Cesuna appare devastato, parecchie case colpite da granata, cenci spezzati e sparsi; il campanile toccato in uno spigolo, la libreria del parroco rotta e i libri squinternati sul pavimento […]. I bei prati densi di magnifico foraggio e infiorati dell’estate, sono dilaniati dalla guerra; il paesaggio forestale del Lemerle è stupendo, ma i segni della distruzione sono ovunque, negli alberi secchi e stroncati, nelle buche dei grossi calibri, nei reticolati in abbandono’.
La descrizione accosta sempre distruzione e bellezza: ‘Il Magnaboschi è violetto per i vapori che velano l’abetaia immensa; il Lemerle è calvo sulla vetta rotonda, e ricorda con quel diradarsi del suo mantello boschivo la rovina della battaglia, lo spasmodico dilaniamento dei 305 con cui i nemici lo catapultarono
La prossima tappa del viaggio mi riporta in pianura sulla Riviera del Brenta, a rintracciare il passaggio del Vate nel labirinto di Villa Pisani descritto nel ‘Fuoco’.
L’impresa di d’Annunzio del volo su Trento partì proprio da Asiago, il 20 Settembre 1915.
Io me ne allontano dopo aver riscoperto i boschi, l’aria, il sole, le stelle di notte, e dopo aver accolto l’invito di Rigoni Stern a ‘salire la montagna quando è ancora buio e aspettare il sorgere del sole. È uno spettacolo che nessun altro mezzo creato dall’uomo vi può dare, questo spettacolo della natura’.
Un’alba sui monti o stare in silenzio in un bosco è tra le forme più simili ad un preghiera che io conosca.