La mostra sull’Ottocento milanese apre le porte al pubblico

“Milano da Romantica a Scapigliata” nelle sale al primo piano del castello di Novara

Migliaia di novaresi, ogni giorno, si spostano da Novara a Milano per molteplici ragioni – studio, lavoro, svago, shopping – ma quanti di loro hanno il tempo di osservare la città cogliendone i dettagli e, soprattutto, di soffermarsi in qualche angolo a chiedersi come fosse? Se almeno dal 1966 la consapevolezza che “là dove c’era l’erba ora c’è una città” è universalmente condivisa, la mostra “Milano da Romantica a Scapigliata” che apre al pubblico oggi, 22 ottobre, al Castello di Novara può offrire l’opportunità di viaggiare per i vicoli, le piazze o lungo i navigli della “vecchia” Milano, scoprendo luoghi inalterati nel tempo o scorci purtroppo scomparsi per sempre, abitati dagli sguardi dei protagonisti di allora, resi immortali da chi li ha ritratti, cogliendoli nelle più disparate situazioni. Grazie all’accurata selezione delle 76 opere provenienti sia da collezioni private sia da raccolte pubbliche e fondazioni effettuata dalla curatrice, Elisabetta Chiodini, e dal comitato scientifico che ha curato l’evento proposto da Mets, Fondazione Castello e Comune di Novara, fin dalla prima sala ci si immerge nella storia e nella memoria dei 70 anni che, a cavallo tra il 1810 e il 1880 circa, hanno trasformato non solo Milano in una città moderna, crocevia di genti, culture e arti, ma anche la pittura lombarda dal Romanticismo alla Scapigliatura.La prima sezione è dedicata alla “Pittura urbana nella Milano romantica”, con numerose vedute prospettiche che consentono di mostrare l’evoluzione del paesaggio urbano in epoca romantica, di cui la “Veduta di piazza del Duomo con il Coperto dei Figini”, eseguita nel 1839 da Angelo Inganni per l’Imperatore Ferdinando I d’Austria e scelta come copertina del catalogo, già da sola vale la visita all’intera esposizione. Oltre a questo dipinto, spiccano le vedute di Giovanni Migliara, dedicate al Duomo, e “Veduta di S. Stefano in Milano” e “Veduta della corsi de’Servi a Milano” di Giuseppe Canella, qui esposte insieme dopo quasi 90 dall’ultima volta a Brera nel 1933. 

Notevoli anche le opere di Luigi Bisi, dai primi anni Quaranta dell’Ottocento erede di Migliara e poi docente di prospettiva all’Accademia di Brera,con “Interno della Chiesa di Santa Maria presso San Celso a Milano” del 1838 e, sempre di Inganni, “La colonna di San Martiniano al Verziere con neve cadente”, una delle primissime opere con questa ambientazione, seguita da “Veduta del Naviglio di via Vittoria con il ponte di via Olcati” del 1852. Se nelle prime due sale si percorre un suggestivo viaggio nel tempo tra le vie, le piazze e i Navigli che ancora oggi percorriamo, con scorci di Piazza del Duomo, della Corsia dei Servi oggi Corso Vittorio Emanuele, Piazza San Babila, Piazza della Scala e del Verziere, nella terza sala si incontrano gli “attori protagonisti” della scena milanese di quegli anni. Donne, uomini, bambini, soldati, artisti, scrittori, giovani spose, serve: tutti sono resi nella loro essenza peculiare dalle sapienti pennellate di Francesco Hayez, presente in mostra anche con il dipinto introduttivo “Imelda de’Lambertazzi”, di Giovanni Carnovali detto “Il Piccio”, dei fratelli Domenico e Girolamo Induno, veri e propri narratori del loro tempo attraverso le figure dei più umili, e di Giuseppe Molteni, la figura più poliedrica della scena artistica milanese di quel periodo, pittore sincero della vita del popolo e al contempo ritrattista mondano di fama internazionale, ma anche restauratore e antesignano “sovrintendente”.

Di connotazione politica, la terza sezione è interamente dedicata alla Milano risorgimentale, da austriaca a liberata, con 6intense opere di Baldassare Verazzi, Carlo Canella e Carlo Bossoli dedicate alle Cinque giornate di Milano e ai moti del marzo 1848 che resero Milano temporaneamente libera dal giogo austriaco. La piccola tela di Verazzi proveniente dal Museo del Risorgimento di Milano, “Episodio delle cinque giornate, Combattimento presso Palazzo Litta”, è il capolavoro non solo dell’autore, ma dell’intera sala, con rimandi simbolici alla liberazione.

La sala successiva, coincidente con la quarta sezione “La Storia narrata dalla parte del popolo”, è dominata da 9 opere dei fratelli Induno, veri e propri leader della scena pittorica milanese e nazionale di quei decenni, autori amatissimi dalla critica ma soprattutto dal pubblico di allora, stregato dalla raffinatezza e dalla precisione con cui i dettagli della realtà, necessari a sottolineare la veridicità di quanto rappresentato, venivano restituiti dalle loro tele.

La storia, il vivere quotidiano, le gioie, i drammi e le difficoltà di quei momenti spiccano in particolare in “Pane e lacrime” di Domenico, che appartenne ad Hayez, e nelle opere di Girolamo “Il ferito visitato dai suoi parenti (episodio della guerra del 1859)”, già esposto a Novara in “Ottocento in Collezione” nel 2018, e “La fidanzata del Garibaldino”. “Verso il rinnovamento del linguaggio: dal segno al colore” è la quinta sezione, che si articola su due sale, con opere di Pagliano, Bertini, Carnovali detto “Il Piccio”, Faruffini e Carcano, autori fondamentali per il rinnovamento della pittura degli anni Sessanta, attenti ad aggiornarla seguendo le ricerche avanzate in primis dalla scuola napoletana, con attenzione al colore e alla luce, elaborando un nuovo linguaggio, necessario per comunicare il “vero” in senso moderno.

Magistrale, in questo solco, l’autoritratto di Carcano, il più talentuoso e ribelle allievo di Hayez, presente anche con “Giardino con effetto di sole”. La saletta successiva, dedicata a “Il sistema di Filippo Carcano. La pittura scombiccherata e impiastricciata”, prosegue con l’illustrazione delle sperimentazioni condotte dagli artisti negli anni Sessanta a partire dall’esempio di Carcano: le opere, in aperta rottura con la tradizione accademica del disegno, sono realizzate “costruendo” le immagini utilizzando il colore e la pennellata invece del segno grafico. Suggestivi, nella cella, i tre quadri di Mosè Bianchi, “Il maestro di scuola”, “Dietro le scene” e “Un giorno di parata”, caratterizzati dal chiaro scuro e da una prospettiva già fotografica.

Nelle due sezioni successive, “Verso la Scapigliatura” e “L’affermazione e il trionfo del linguaggio scapigliato”, il percorso espositivo prosegue e arriva al culmine con le più significative opere di Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, illustrando il percorso dei due artisti prima dell’elaborazione del linguaggio scapigliato della maturità artistica di entrambi. Sia “Amaro calice” e “Ritratto di Nicola Massa Gazzino” di Cremona sia “Ritratto della sorella Virginia” – unica opera in mostra proveniente dalla Galleria Giannoni di Novara – e “Ritratto di donna Maria Padulli in Greppi” di Ranzoni anticipano le più moderne opere esposte nell’ultima sala. Il dittico “Melodia” e “In ascolto” di Cremona, nuovamente esposto insieme dopo la loro realizzazione del 1878 – insieme a “Ritratto della signora Pisani Dossi” e “Ritratto di Antonietta Tzikos di Saint Leger” del 1886 di Ranzoni segnano la fine di questo racconto per immagini, estremamente coinvolgente ed emozionante, che ha segnato la storia del nostro territorio.

La mostra sarà visitabile dal 22 ottobre al 12 marzo, da martedì a domenica dalle 10 alle 19. Info e biglietti a questo link.

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Francesca Bergamaschi

Francesca Bergamaschi Nata a Novara nel 1978 laureata in Lettere Moderne presso l'Università del Piemonte Orientale, specializzata in Storia dell'Architettura Medievale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Ha poi conseguito un master in "Management per i Beni e le Attività Culturali" presso la Facoltà di Economia dell'Università del Piemonte Orientale. Autrice di monografie, articoli di carattere storico-artistico e progetti scientifici per esposizioni temporanee, affianca all'attività di guida turistica abilitata anche l'attività giornalistica. Docente di lettere nelle scuole superiori, dal 2013 è consigliere della Società Storica Novarese. nonchè membro del comitato di redazione del Bollettino Storico per la Provincia di Novara.

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“Milano da Romantica a Scapigliata” nelle sale al primo piano del castello di Novara

Migliaia di novaresi, ogni giorno, si spostano da Novara a Milano per molteplici ragioni – studio, lavoro, svago, shopping – ma quanti di loro hanno il tempo di osservare la città cogliendone i dettagli e, soprattutto, di soffermarsi in qualche angolo a chiedersi come fosse? Se almeno dal 1966 la consapevolezza che “là dove c’era l’erba ora c’è una città” è universalmente condivisa, la mostra “Milano da Romantica a Scapigliata” che apre al pubblico oggi, 22 ottobre, al Castello di Novara può offrire l’opportunità di viaggiare per i vicoli, le piazze o lungo i navigli della “vecchia” Milano, scoprendo luoghi inalterati nel tempo o scorci purtroppo scomparsi per sempre, abitati dagli sguardi dei protagonisti di allora, resi immortali da chi li ha ritratti, cogliendoli nelle più disparate situazioni. Grazie all’accurata selezione delle 76 opere provenienti sia da collezioni private sia da raccolte pubbliche e fondazioni effettuata dalla curatrice, Elisabetta Chiodini, e dal comitato scientifico che ha curato l’evento proposto da Mets, Fondazione Castello e Comune di Novara, fin dalla prima sala ci si immerge nella storia e nella memoria dei 70 anni che, a cavallo tra il 1810 e il 1880 circa, hanno trasformato non solo Milano in una città moderna, crocevia di genti, culture e arti, ma anche la pittura lombarda dal Romanticismo alla Scapigliatura.La prima sezione è dedicata alla “Pittura urbana nella Milano romantica”, con numerose vedute prospettiche che consentono di mostrare l’evoluzione del paesaggio urbano in epoca romantica, di cui la “Veduta di piazza del Duomo con il Coperto dei Figini”, eseguita nel 1839 da Angelo Inganni per l’Imperatore Ferdinando I d’Austria e scelta come copertina del catalogo, già da sola vale la visita all’intera esposizione. Oltre a questo dipinto, spiccano le vedute di Giovanni Migliara, dedicate al Duomo, e “Veduta di S. Stefano in Milano” e “Veduta della corsi de’Servi a Milano” di Giuseppe Canella, qui esposte insieme dopo quasi 90 dall’ultima volta a Brera nel 1933. 

Notevoli anche le opere di Luigi Bisi, dai primi anni Quaranta dell’Ottocento erede di Migliara e poi docente di prospettiva all’Accademia di Brera,con “Interno della Chiesa di Santa Maria presso San Celso a Milano” del 1838 e, sempre di Inganni, “La colonna di San Martiniano al Verziere con neve cadente”, una delle primissime opere con questa ambientazione, seguita da “Veduta del Naviglio di via Vittoria con il ponte di via Olcati” del 1852. Se nelle prime due sale si percorre un suggestivo viaggio nel tempo tra le vie, le piazze e i Navigli che ancora oggi percorriamo, con scorci di Piazza del Duomo, della Corsia dei Servi oggi Corso Vittorio Emanuele, Piazza San Babila, Piazza della Scala e del Verziere, nella terza sala si incontrano gli “attori protagonisti” della scena milanese di quegli anni. Donne, uomini, bambini, soldati, artisti, scrittori, giovani spose, serve: tutti sono resi nella loro essenza peculiare dalle sapienti pennellate di Francesco Hayez, presente in mostra anche con il dipinto introduttivo “Imelda de’Lambertazzi”, di Giovanni Carnovali detto “Il Piccio”, dei fratelli Domenico e Girolamo Induno, veri e propri narratori del loro tempo attraverso le figure dei più umili, e di Giuseppe Molteni, la figura più poliedrica della scena artistica milanese di quel periodo, pittore sincero della vita del popolo e al contempo ritrattista mondano di fama internazionale, ma anche restauratore e antesignano “sovrintendente”.

Di connotazione politica, la terza sezione è interamente dedicata alla Milano risorgimentale, da austriaca a liberata, con 6intense opere di Baldassare Verazzi, Carlo Canella e Carlo Bossoli dedicate alle Cinque giornate di Milano e ai moti del marzo 1848 che resero Milano temporaneamente libera dal giogo austriaco. La piccola tela di Verazzi proveniente dal Museo del Risorgimento di Milano, “Episodio delle cinque giornate, Combattimento presso Palazzo Litta”, è il capolavoro non solo dell’autore, ma dell’intera sala, con rimandi simbolici alla liberazione.

La sala successiva, coincidente con la quarta sezione “La Storia narrata dalla parte del popolo”, è dominata da 9 opere dei fratelli Induno, veri e propri leader della scena pittorica milanese e nazionale di quei decenni, autori amatissimi dalla critica ma soprattutto dal pubblico di allora, stregato dalla raffinatezza e dalla precisione con cui i dettagli della realtà, necessari a sottolineare la veridicità di quanto rappresentato, venivano restituiti dalle loro tele.

La storia, il vivere quotidiano, le gioie, i drammi e le difficoltà di quei momenti spiccano in particolare in “Pane e lacrime” di Domenico, che appartenne ad Hayez, e nelle opere di Girolamo “Il ferito visitato dai suoi parenti (episodio della guerra del 1859)”, già esposto a Novara in “Ottocento in Collezione” nel 2018, e “La fidanzata del Garibaldino”. “Verso il rinnovamento del linguaggio: dal segno al colore” è la quinta sezione, che si articola su due sale, con opere di Pagliano, Bertini, Carnovali detto “Il Piccio”, Faruffini e Carcano, autori fondamentali per il rinnovamento della pittura degli anni Sessanta, attenti ad aggiornarla seguendo le ricerche avanzate in primis dalla scuola napoletana, con attenzione al colore e alla luce, elaborando un nuovo linguaggio, necessario per comunicare il “vero” in senso moderno.

Magistrale, in questo solco, l’autoritratto di Carcano, il più talentuoso e ribelle allievo di Hayez, presente anche con “Giardino con effetto di sole”. La saletta successiva, dedicata a “Il sistema di Filippo Carcano. La pittura scombiccherata e impiastricciata”, prosegue con l’illustrazione delle sperimentazioni condotte dagli artisti negli anni Sessanta a partire dall’esempio di Carcano: le opere, in aperta rottura con la tradizione accademica del disegno, sono realizzate “costruendo” le immagini utilizzando il colore e la pennellata invece del segno grafico. Suggestivi, nella cella, i tre quadri di Mosè Bianchi, “Il maestro di scuola”, “Dietro le scene” e “Un giorno di parata”, caratterizzati dal chiaro scuro e da una prospettiva già fotografica.

Nelle due sezioni successive, “Verso la Scapigliatura” e “L’affermazione e il trionfo del linguaggio scapigliato”, il percorso espositivo prosegue e arriva al culmine con le più significative opere di Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, illustrando il percorso dei due artisti prima dell’elaborazione del linguaggio scapigliato della maturità artistica di entrambi. Sia “Amaro calice” e “Ritratto di Nicola Massa Gazzino” di Cremona sia “Ritratto della sorella Virginia” – unica opera in mostra proveniente dalla Galleria Giannoni di Novara – e “Ritratto di donna Maria Padulli in Greppi” di Ranzoni anticipano le più moderne opere esposte nell’ultima sala. Il dittico “Melodia” e “In ascolto” di Cremona, nuovamente esposto insieme dopo la loro realizzazione del 1878 – insieme a “Ritratto della signora Pisani Dossi” e “Ritratto di Antonietta Tzikos di Saint Leger” del 1886 di Ranzoni segnano la fine di questo racconto per immagini, estremamente coinvolgente ed emozionante, che ha segnato la storia del nostro territorio.

La mostra sarà visitabile dal 22 ottobre al 12 marzo, da martedì a domenica dalle 10 alle 19. Info e biglietti a questo link.

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Francesca Bergamaschi

Francesca Bergamaschi Nata a Novara nel 1978 laureata in Lettere Moderne presso l'Università del Piemonte Orientale, specializzata in Storia dell'Architettura Medievale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Ha poi conseguito un master in "Management per i Beni e le Attività Culturali" presso la Facoltà di Economia dell'Università del Piemonte Orientale. Autrice di monografie, articoli di carattere storico-artistico e progetti scientifici per esposizioni temporanee, affianca all'attività di guida turistica abilitata anche l'attività giornalistica. Docente di lettere nelle scuole superiori, dal 2013 è consigliere della Società Storica Novarese. nonchè membro del comitato di redazione del Bollettino Storico per la Provincia di Novara.