Si è tenuto nei giorni scorsi a Firenze il “Festival dei popoli”, un importante festival del film documentario. Il “documentario” è un genere cinematografico normalmente sottovalutato, in questi tempi banali in cui ci troviamo a vivere. Invece necessita di attenzione e di dedizione, caratteristiche che lo spettatore del grande schermo ormai sembra non avere più, stordito dai sottoprodotti cinematografici e dai montaggi psicotici. Il film documentario o “del reale”, come amano definirlo in Francia, è un prodotto di nicchia che riserva scoperte preziose di un cinema oltremodo raffinato e meditativo.
Al festival fiorentino, qualche giorno fa, è stato presentato al pubblico anche “Ardenza”, film di Daniela De Felice, grande amica ed ex allieva del liceo artistico di Novara. L’estate scorsa, “Ardenza” è entrato anche nella selezione ufficiale di “Visions du Réel”, festival cinematografico che si tiene nella cittadina svizzera di Nyon e certamente tra i più importanti nel suo genere. Occorre ricordare che Daniela De Felice, dal prossimo 18 novembre, presenta al Centre Pompidou di Parigi, città dove lavora da anni, una rassegna dei suoi film e in più vi sarà la prima di un altro suo film intitolato “De part et d’autre” a cui ha lavorato, unitamente al marito regista, Matthieu Chatellier.
“Ardenza”, è un film di preziosa delicatezza, fatto di silenzi, di tratti di inchiostro, di immagini sporche, come quelle del ricordo, dove qualche volta si stenta a mettere a fuoco le immagini, così come la nostra mente spesso difetta nel mettere a fuoco i ricordi. La narratrice ci conduce in un viaggio a ritroso nei ricordi di gioventù e le immagini sembrano commentare le parole più che il contrario. Il flusso del ricordo parte da una delusione d’amore vissuta in Italia (ricordiamo che il film è in lingua francese e sottotitolato in inglese), ricordi personali dolorosi, piccole gioie, cronache dell’epoca, fino al ricordo degli esordi della lotta politica studentesca, sulla quale Daniela De Felice e Matthieu avevano già lavorato in un precedente film “Grêve général” del 2007. Per Daniela la lotta politica ha una valenza particolare ed il linguaggio della politica è stato di importanza capitale nella sua formazione. “Essere giovani significa essere di sinistra” dice la voce narrante. E la politica, come agone esistenziale, ha certamente giocato un ruolo fondamentale nella formazione artistica di Daniela De Felice.
Ho il personalissimo ricordo di Daniela, leader degli studenti e delle loro lotte culminate con l’occupazione del liceo artistico a Novara, sul finire degli anni Novanta, che sono senza alcun dubbio riflessi nel film, se pur non esplicitamente citati. In “Ardenza” il pubblico e il privato sono una sola cosa: un’amica persa in un incidente stradale, le immagini televisive della “discesa in campo” del Cavaliere, il ricordo della passione per il cioccolato (una citazione involontaria della nutella morettiana?), sembrano alternarsi anche nelle immagini che prendono forma nei disegni, dal segno volutamente infantile di Daniela, con immagini ad inchiostro di china e acquarello, seppiate ed evanescenti che “evocano” più che descrivere. Ma è indubbiamente la politica ad essere la vena pulsante di tutto il film, forse lotta politica anche come rito di passaggio tra il mondo adolescenziale e quello adulto. Sentimenti spinti fin dentro la politica, le lotte o l’amore appena accennato per Fausto, che dopo il primo incontro, la narratrice-regista, rivedrà solo in un filmato televisivo durante i violenti scontri del G8 a Genova nel 2001.
Ci tenevo molto a scrivere di Daniela, e di Matthieu naturalmente. Lei tiene sempre in gran conto la mia opinione, tanto da avermi fatto scegliere la locandina del film e, addirittura, ringraziarmi citandomi nei titoli di coda. Il loro cinema è un cinema appassionato, profondo, intimo ma non intimistico e soprattutto sincero. Una vecchia e solida amicizia ci lega, fatta anche questa di ricordi indelebili e di coscienza politica, sempre che oggi sia ancora consentito chiamarla così, senza essere derisi…