Igor Stravinsky e Benny Goodman nel nuovo libro di Biagio Bagini

Quando Biagio mi ha detto di aver scritto un libro su Stravinsky e Benny Goodman ho subito pensato ad un saggio, senza stupirmi troppo, per il semplice fatto che Biagio Bagini di musica la sa lunga, pur essendo un personaggio piuttosto eclettico. Ma “Swinging Stravinsky” (Oligo Editore) non è un saggio, bensì un romanzo i cui protagonisti non sono solo Igor Stravinsky e Benny Goodman, ma una serie di artisti e musicisti, ebrei ortodossi o meno, impresari senza scrupoli e musicanti che animarono uno spicchio del “Secolo breve” (che credo rimpiangeremo molto, pur con tutti i suoi disastri). Ma cosa hanno in comune Igor Stravinsky e Benny Goodman? All’apparenza poco o nulla, ma analizzando fatti, coincidenze, incontri e relazioni, si scopre che è molto di più di quello che non si possa immaginare.

L’autore ricostruisce un tessuto di relazioni tra i due compositori e musicisti, ma soprattutto, credo, ipotizzi qualcosa che va molto oltre gli incontri casuali e voluti, cioè la relazione stretta, strettissima, tra la musica colta europea e il jazz e lo swing. Si potrà certamente dire che non si tratta di una teoria nuova, ed è vero, ma è anche vero che questo è un romanzo e non un saggio. Mentre le sale da concerto europee, frequentate esclusivamente dalla buona borghesia del vecchio continente, venivano scosse dalla potenza caotica del “Sacre”, a Chicago e a New York le classi agiate del nuovo mondo cominciavano a metabolizzare, o addirittura si lasciavano andare al ritmo (tribale) della nuova musica, quel jazz che aveva radici profonde nell’Africa nera, forse inconsciamente evocata anche dai riti ctòni e ancestrali del furioso balletto di Stravinsky, che il 29 maggio del 1913 al Théâthre de Champs Elysées, al suo debutto, provocò un finimondo: accese discussioni, reazioni indignate, perfino risse tra gli spettatori, qualcuno dei quali vide nel “Sacre” la musica del diavolo.

Anche il jazz, forse per altri motivi e certamente in un altro contesto, era considerata una musica diabolica, anche se negli anni del clarinetto di Goodman questo diavolo cominciava a piacere. Clarinetti e diavolo hanno molto a che vedere anche con Stravinsky, che lavorò anche con il “buon diavolo” de “L’Histoire du Soldat” su testo di Ramuz… Insomma, dato questo contesto, non vorrei “spoilerarvi” troppo le vicende di questo strano incontro che Biagio Bagini racconta con la meraviglia di un bambino, in un libro appassionante e divertente, ma allo stesso tempo attento ai nessi teorici tra due mondi musicali che non sono così lontani, come generalmente (e superficialmente) si è soliti immaginare.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Igor Stravinsky e Benny Goodman nel nuovo libro di Biagio Bagini

Quando Biagio mi ha detto di aver scritto un libro su Stravinsky e Benny Goodman ho subito pensato ad un saggio, senza stupirmi troppo, per il semplice fatto che Biagio Bagini di musica la sa lunga, pur essendo un personaggio piuttosto eclettico. Ma “Swinging Stravinsky” (Oligo Editore) non è un saggio, bensì un romanzo i cui protagonisti non sono solo Igor Stravinsky e Benny Goodman, ma una serie di artisti e musicisti, ebrei ortodossi o meno, impresari senza scrupoli e musicanti che animarono uno spicchio del “Secolo breve” (che credo rimpiangeremo molto, pur con tutti i suoi disastri). Ma cosa hanno in comune Igor Stravinsky e Benny Goodman? All’apparenza poco o nulla, ma analizzando fatti, coincidenze, incontri e relazioni, si scopre che è molto di più di quello che non si possa immaginare.

L’autore ricostruisce un tessuto di relazioni tra i due compositori e musicisti, ma soprattutto, credo, ipotizzi qualcosa che va molto oltre gli incontri casuali e voluti, cioè la relazione stretta, strettissima, tra la musica colta europea e il jazz e lo swing. Si potrà certamente dire che non si tratta di una teoria nuova, ed è vero, ma è anche vero che questo è un romanzo e non un saggio. Mentre le sale da concerto europee, frequentate esclusivamente dalla buona borghesia del vecchio continente, venivano scosse dalla potenza caotica del “Sacre”, a Chicago e a New York le classi agiate del nuovo mondo cominciavano a metabolizzare, o addirittura si lasciavano andare al ritmo (tribale) della nuova musica, quel jazz che aveva radici profonde nell’Africa nera, forse inconsciamente evocata anche dai riti ctòni e ancestrali del furioso balletto di Stravinsky, che il 29 maggio del 1913 al Théâthre de Champs Elysées, al suo debutto, provocò un finimondo: accese discussioni, reazioni indignate, perfino risse tra gli spettatori, qualcuno dei quali vide nel “Sacre” la musica del diavolo.

Anche il jazz, forse per altri motivi e certamente in un altro contesto, era considerata una musica diabolica, anche se negli anni del clarinetto di Goodman questo diavolo cominciava a piacere. Clarinetti e diavolo hanno molto a che vedere anche con Stravinsky, che lavorò anche con il “buon diavolo” de “L’Histoire du Soldat” su testo di Ramuz… Insomma, dato questo contesto, non vorrei “spoilerarvi” troppo le vicende di questo strano incontro che Biagio Bagini racconta con la meraviglia di un bambino, in un libro appassionante e divertente, ma allo stesso tempo attento ai nessi teorici tra due mondi musicali che non sono così lontani, come generalmente (e superficialmente) si è soliti immaginare.

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