In cinquant’anni tutti i novaresi possono dire di averlo incrociato almeno una volta. Allo stadio, in città per una manifestazione politica, sindacale, oppure un fatto di cronaca o un evento culturale. Un tempo con i capelli un po’ arruffati e la barba nera. Oggi decisamente meno, ma sempre con i caratteristici occhiali e l’immancabile macchina fotografica a tracolla. Lui è Mario Finotti, forse “il” fotografo novarese per eccellenza, che dopo mezzo secolo di attività (anche se ufficialmente si dichiara pensionato da qualche anno, pur proseguendo a “scattare” perché dopo tutto «io e i giornalisti non abbiamo mica fatto i minatori…») ha deciso di donare il suo patrimonio fotografico (stampe, negativi, cataloghi ma anche un’enorme quantità di materiale digitalizzato oggi quantificabile in “tera”) all’Istituto storico della Resistenza “Piero Fornara”.
«Un’operazione piuttosto importante – ha spiegato la direttrice dell’Istituto storico, Elena Mastretta – L’acquisizione di un archivio consistente e importante come quello di di Mario Finotti, per la ricostruzione attraverso le immagini di quella che è stata la storia recente della città. Ma un archivio vive nel momento in cui è studiato e valorizzato». Ecco dunque che il primo momento pubblico è rappresentato da una mostra, intitolata “Ho visto cose”, che sarà allestita presso la Sala dell’Accademia, nel complesso monumentale del Broletto. L’inaugurazione è prevista venerdì 10 marzo alle 17,30 e si potrà visitare sino al 26 nei consueti orari di apertura. Ad accompagnare l’evento anche due conferenze: il 17 marzo alle 17 il giornalista Renato Ambiel, amico e collega di Finotti, parlerà di “Splendori e miserie della vita di redazione”; il 23 alla stessa ora Adolfo Mignemi si soffermerà sul tema “Guardare le immagini, conservare le fotografie”. Entrambi gli eventi si terranno nel Salone dell’Arengo.
«Quando l’amico Finotti ci ha fatto questa proposta – ha aggiunto il presidente dell’Istituto Paolo Cattaneo – l’abbiamo colta al volo con sentimenti di gratitudine per la sua sensibilità ma anche coraggio. Tante volte chi done rimane un po’ deluso perché non sempre c’é attenzione. Questo patrimonio sarà a disposizione di tutti, nonostante i problemi legati alle difficoltà di trovare una nuova sede».
«Una mostra che ricorda uno spaccato della nostra città – è intervenuto il sindaco Alessandro Canelli – La sede? Abbiamo cercato una soluzione “ponte” in attesa di una soluzione definitiva». Dal canto suo Finotti, con la sua consueta ironia, ha anticipato la domanda forse più scontata: perché questa donazione? «Ho ceduto alle pressioni di mia moglie sul fatto che di questo passo non ci sarebbe stato più spazio nella nostra casa. Battute a parte, da quando non lavoro più sul “campo” ho iniziato a mettere le mani sull’archivio e in questa maniera mi sono convinto che dagli anni ’70 possiedo praticamente tutto.
Comunque se esiste un merito di chi dona, c’é anche da parte di chi lo accetta. Poi è nata l’idea di una mostra, scegliendo una cinquantina di immagini, che non vogliono ripercorrere in maniera esauriente i cinquant’anni nei quali ho prodotto e nemmeno coprire tutti i temi. Abbiamo pensato di raccontare che cosa è successo ma contemporaneamente come si è evoluto il mestiere di fotografo in realtà come quella novarese».
All’allestimento hanno collaborato il giornalista Renato Ambiel, non solo scrivendo le didascalie nei pannelli, mentre Roberto Bottacchi ha affettato un «excursus mettendo in evidenza le particolarità di questa situazione attorno alla quale abbiamo realizzato questa mostra».
«Mi piace ricordare che il sodalizio con Mario risale all’inizio degli anni ’70 – ha detto Ambiel – Un lavoro che ci ha appassionato subito e che sarà sviluppato in futuro con la realizzazione di un libro. Ci stiamo pensando». Bottacchi, che si occupa di storia locale, ha sostenuto invece che «storia e memoria sono la stessa cosa. Questo tipo di manifestazione è molto importante per ricordare prima di tutto noi cosa è stata la stria più recente, un confronto con la nostra vita».