Posseggo due libri uguali, in due edizioni diverse. Si tratta del libro di cucina ghemmese (Ghemme, Novara) scritto da Daniele Preda, un ex collega cuoco, ottimo chef di vecchia scuola.
La prima edizione è del 1985, 5a copia di 1500 esemplari, con dedica autografa di Daniele: “All’amico Milan con stima ed amicizia”. Titolo dell’opera “La cucina rustica ghemmese”, prefazione di Albano Mainardi che lo descrive come “un documento di cultura locale…raccolta di indicazioni cucinarie in uso nei tempi che furono, ed in parte anche oggi…”. Cucina “rustica”, appunto, campagnola, proletaria e piccolo borghese che nel 1985 era sentita, appunto, come “rustica”: per differenziarla dalla cucina raffinata di ispirazione internazionale, appannaggio della media ed alta borghesia con intenti aristocrateggianti.
Nel 2011 il ricettario viene ristampato con una nuova grafica, abbinamenti coi vini locali, disegni a colori e, curiosità, un nuovo titolo: “La cucina tradizionale ghemmese”. Cambia il rango: non la cucina delle classi modeste, semplici, bensì “la” cucina del territorio: non più rustica ma tradizionale. Un cambiamento di rotta, di mentalità. Le ricette sono le stesse, sia detto: quelle popolari e rustiche che in matrimonio di inizio ‘900 non sarebbero state proposte. Ma ora sono nobilitate dell’aggettivo “tradizionale” e per un borgo con velleità turistiche vuol dire un valore aggiunto. Piatti che gusteranno i turisti nelle trattorie, i ghemmesi la domenica; mentre per la maggiore si nutriranno di pasta al sugo rosso, pizza, bistecche, pasta al pesto; o di sushi, di patatine fritte, di hamburger e kebap… Lo dice anche il Preda nella prefazione: “uno spunto di riflessione su quanto queste ricette possano essere attuali e inserite nei nostri moderni menù”.
Non più cucina “rustica”, dunque, ma “tradizionale”! E non sono solo sinonimi.