Eloisa Manera, verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Certo che Eloisa Manera con il suo ensemble, composto da Massimo Barbiero alla batteria e percussioni ed Emanuele Satoris al pianoforte, si è presa una bella gatta da pelare intitolando il concerto (e il CD) “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” dall’omonima raccolta di poesie di Cesare Pavese.

Ho con quella raccolta un legame particolare per i ricordi che mi legano ad essa e all’esame universitario sostenuto con Vittorio Spinazzola, qualche secolo fa, ma a parte questo, il confrontarsi con una della più celebrate poesie del Novecento italiano, non era cosa  semplice. Sempre più spesso, però, i jazzisti dedicano i loro lavori ai grandi temi della letteratura e questo comporta naturalmente un certo rischio. Del resto Eloisa Manera non è nuova nel cimento con la letteratura, basta ricordare un suo lavoro precedente ispirato a “Le città invisibili” di Calvino. Oltre che, al confronto a viso aperto con la letteratura, una responsabilità ancora maggiore è quella di confrontarsi con un sentimento altrui, come l’amore di Pavese per Costance Dowling, l’attrice americana che fu probabilmente una concausa del suo suicidio. E’ stato molto intenso il concerto di Eloisa, nell’ambito degli appuntamenti di “Aperitivo in Jazz”, presso lo spazio “Piccolo Coccia” di Novara, manifestazione domenicale di “Novara Jazz” che ormai ha messo radici in diversi ambiti e luoghi della città. Mi sia solo concesso ricordare la rassegna “Swing & Hot” a Nòva, le serata al Cannavacciuolo Bistrot e gli appuntamenti del giovedì all’Opificio, altro locale nel circuito di Novara Jazz. Fatta questa doverosa divagazione, torniamo al concerto di domenica scorsa (e al disco)

Se si dovesse trovare una similitudine tra la poesia di Cesare Pavese e le composizioni di Eloisa Manera e del suo gruppo, questa potrebbe senz’altro essere quella del contrasto tra le assonanze e le dissonanze, a cui fa cenno la nota di copertina del cd. La vita stessa del grande poeta piemontese è trascorsa  tra assonanze e dissonanze che si sono manifestate sia nella vita pubblica (basti pensare al difficile rapporto col Partito Comunista di cui era simpatizzante) come in quella privata. “Il mestiere di vivere” è testimonianza palpabile dei grandi contrasti che lo accompagnarono per tutta la vita, sino a quel laconico “Non scriverò più” con cui, tragicamente si conclude. Piuttosto complessa e raffinata  la struttura del concerto con undici pezzi, e cinque interludi più una coda finale per pianoforte solo. É “Campanula” l’intimissima composizione dove i tre strumenti (violino, percussioni e pianoforte) entrano nel modo e nel mondo di Pavese, così poco vistoso e così profondo, dove Eloisa Manera sembra tessere un filo sottile che ci conduce in quel labirinto di malinconie e di improvvisi sussulti che caratterizza il pensiero e le passioni del poeta-scrittore . Magnifico e sorprendente il distacco che “Interludio 1” crea col pezzo precedente e che introduce a “Night You Sleep”, cupa e misteriosa come la notte, ma dove la fiamma del violino, ci conduce verso anditi abissali. C’è molto nel violino di Eloisa: la narrazione e l’illuminazione improvvisa, la classica e il folk, generi  solo accennati e lasciati all’immaginazione dell’ascoltatore e anche in questo caso, l’interludio che segue, meditabondo e solingo, sembra voler commentare in maniera stridente ciò che l’ha preceduto. La dialettica tra pezzo e interludio, è una delle invenzioni più preziose dell’intero lavoro. “…I gatti lo sapranno,/viso di primavera;/e la pioggia leggera,/l’alba color giacinto/che dilaniano il cuore/di chi più non ti spera/sono il triste sorriso/che sorridi da sola…” sono alcuni versi della poesia “I gatti lo sapranno” e che nel disco diventano “The cat will know”, brano leggero come l’aria e inafferrabile come i gatti, una lirica distesa, ironica e leggera, tradotta in musica con rara maestria, dove mentre il violino di Eloisa continua a monologare, il piano di Emanuele Sartoris e la batteria di Massimo Barbiero continuano soavemente a commentare.

Dopo il consueto e solenne interludio, chiude il lavoro “Lo spiraglio dell’alba respira con la tua bocca…”, così comincia “In the Morning you always come back” di Pavese, delicatamente tradotta in musica nel brano “Morning” che, come la luce del mattino e il sorriso della donna amata, fendono la coltre della malinconia della raccolta. Si deve sottolineare che dalle armonie iniziali, si passa ad una destrutturazione sonora fatta di note brevi e puntilliste, piccoli rumori ed incertezze che danno tutto il senso del tormento del poeta. Gran bel concerto e gran bel disco quello del trio Barbiero-Manera-Satoris che termina definitivamente con una coda fatta di suggestione pura, quasi un notturno, e non poteva essere altrimenti in un omaggio a un poeta del profondo che non ebbe paura della morte per continuare a vivere.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Eloisa Manera, verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Certo che Eloisa Manera con il suo ensemble, composto da Massimo Barbiero alla batteria e percussioni ed Emanuele Satoris al pianoforte, si è presa una bella gatta da pelare intitolando il concerto (e il CD) “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” dall’omonima raccolta di poesie di Cesare Pavese.

Ho con quella raccolta un legame particolare per i ricordi che mi legano ad essa e all’esame universitario sostenuto con Vittorio Spinazzola, qualche secolo fa, ma a parte questo, il confrontarsi con una della più celebrate poesie del Novecento italiano, non era cosa  semplice. Sempre più spesso, però, i jazzisti dedicano i loro lavori ai grandi temi della letteratura e questo comporta naturalmente un certo rischio. Del resto Eloisa Manera non è nuova nel cimento con la letteratura, basta ricordare un suo lavoro precedente ispirato a “Le città invisibili” di Calvino. Oltre che, al confronto a viso aperto con la letteratura, una responsabilità ancora maggiore è quella di confrontarsi con un sentimento altrui, come l’amore di Pavese per Costance Dowling, l’attrice americana che fu probabilmente una concausa del suo suicidio. E’ stato molto intenso il concerto di Eloisa, nell’ambito degli appuntamenti di “Aperitivo in Jazz”, presso lo spazio “Piccolo Coccia” di Novara, manifestazione domenicale di “Novara Jazz” che ormai ha messo radici in diversi ambiti e luoghi della città. Mi sia solo concesso ricordare la rassegna “Swing & Hot” a Nòva, le serata al Cannavacciuolo Bistrot e gli appuntamenti del giovedì all’Opificio, altro locale nel circuito di Novara Jazz. Fatta questa doverosa divagazione, torniamo al concerto di domenica scorsa (e al disco)

Se si dovesse trovare una similitudine tra la poesia di Cesare Pavese e le composizioni di Eloisa Manera e del suo gruppo, questa potrebbe senz’altro essere quella del contrasto tra le assonanze e le dissonanze, a cui fa cenno la nota di copertina del cd. La vita stessa del grande poeta piemontese è trascorsa  tra assonanze e dissonanze che si sono manifestate sia nella vita pubblica (basti pensare al difficile rapporto col Partito Comunista di cui era simpatizzante) come in quella privata. “Il mestiere di vivere” è testimonianza palpabile dei grandi contrasti che lo accompagnarono per tutta la vita, sino a quel laconico “Non scriverò più” con cui, tragicamente si conclude. Piuttosto complessa e raffinata  la struttura del concerto con undici pezzi, e cinque interludi più una coda finale per pianoforte solo. É “Campanula” l’intimissima composizione dove i tre strumenti (violino, percussioni e pianoforte) entrano nel modo e nel mondo di Pavese, così poco vistoso e così profondo, dove Eloisa Manera sembra tessere un filo sottile che ci conduce in quel labirinto di malinconie e di improvvisi sussulti che caratterizza il pensiero e le passioni del poeta-scrittore . Magnifico e sorprendente il distacco che “Interludio 1” crea col pezzo precedente e che introduce a “Night You Sleep”, cupa e misteriosa come la notte, ma dove la fiamma del violino, ci conduce verso anditi abissali. C’è molto nel violino di Eloisa: la narrazione e l’illuminazione improvvisa, la classica e il folk, generi  solo accennati e lasciati all’immaginazione dell’ascoltatore e anche in questo caso, l’interludio che segue, meditabondo e solingo, sembra voler commentare in maniera stridente ciò che l’ha preceduto. La dialettica tra pezzo e interludio, è una delle invenzioni più preziose dell’intero lavoro. “…I gatti lo sapranno,/viso di primavera;/e la pioggia leggera,/l’alba color giacinto/che dilaniano il cuore/di chi più non ti spera/sono il triste sorriso/che sorridi da sola…” sono alcuni versi della poesia “I gatti lo sapranno” e che nel disco diventano “The cat will know”, brano leggero come l’aria e inafferrabile come i gatti, una lirica distesa, ironica e leggera, tradotta in musica con rara maestria, dove mentre il violino di Eloisa continua a monologare, il piano di Emanuele Sartoris e la batteria di Massimo Barbiero continuano soavemente a commentare.

Dopo il consueto e solenne interludio, chiude il lavoro “Lo spiraglio dell’alba respira con la tua bocca…”, così comincia “In the Morning you always come back” di Pavese, delicatamente tradotta in musica nel brano “Morning” che, come la luce del mattino e il sorriso della donna amata, fendono la coltre della malinconia della raccolta. Si deve sottolineare che dalle armonie iniziali, si passa ad una destrutturazione sonora fatta di note brevi e puntilliste, piccoli rumori ed incertezze che danno tutto il senso del tormento del poeta. Gran bel concerto e gran bel disco quello del trio Barbiero-Manera-Satoris che termina definitivamente con una coda fatta di suggestione pura, quasi un notturno, e non poteva essere altrimenti in un omaggio a un poeta del profondo che non ebbe paura della morte per continuare a vivere.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.