Il mio augurio di Buona Pasqua è quello di una persona che pensa sia impossibile conoscere la verità su Dio e la vita futura, soprattutto dopo la condizione di aridità esistenziale del ‘secolo’ breve’, e in questo nostro tempo intriso di nichilismo, dove il progresso sembra parlare solo il linguaggio della tecnica, che funziona ma non produce senso, dove la materia prevale sullo spirito.
Ho da molti anni smarrito la fede, ma non il senso del sacro, perché davanti ad un’opera d’arte, dentro una chiesa o sulla cima di una montagna ho spesso percepito di trovarmi al cospetto di qualcosa di più grande di me: il silenzio e il vuoto conducono al sacro, al divino o, semplicemente, al concetto di un’essenza superiore che va oltre i confini del mondo fisico, percepibile e noto. Per l’intelletto è il luogo più vivo e seducente, un punto che vorremmo toccare per capire ogni cosa, anche se non è possibile raggiungerlo.
E a questa seduzione della dismisura tra il pensabile e l’impensabile, alla ricerca di un senso nascosto, al soprassalto di fronte al mistero mi ha guidata la poesia, la sua capacità di cantare l’ineffabile.
E se la Pasqua è un evento soprannaturale da dirsi con parole umane, allora la poesia si attrezza, tentando di dare voce a vita e morte, luce e ombra, perché ogni vera esperienza estetica è sempre anche un’esperienza estatica, conduce il soggetto a uscire da sé verso una dimensione più grande.
Per la poetessa Cristina Campo il sangue di Cristo è ‘cruenta porpora’, un inchiostro necessario per firmare un patto di alleanza tra Dio e l’umanità; in lode alla Pasqua leva un inno altissimo e modernissimo in ‘Ràdonitza (Annuncio della Pasqua ai morti)’:
‘Vento di primavera / traslucido come spada: / esilia dal sépalo affilato / il boccio cremisi che ancora trema, / come dall’anima lo spirito, / il sangue dalla vena. / L’inverno, occulto stelo / che cullò le intenzioni, incubò le mortali esitazioni, / falcia senza un grido; / le psichiche vecchiezze recide / dalla terribile vita. / Pasqua d’incorruzione! / Nel vento di primavera / l’antica chiesa indivisa / annuncia ai morti che indivisa è la vita: / su lapidi d’ipogei / posa i sepali che ancora tremano / e al centro, al plesso, al cuore, /
là dov’è sepolto il Sole, / là dov’è sepolto il Dono, / il piccolo uovo cremisi del perenne tornare, / dell’umile, irriconoscibile / trasmutato tornare. / Pasqua che sciogli ogni pena!?’.
Un vento di primavera lucido e affilato decapita i sepali, stronca di colpo l’inverno; la Pasqua esige un rinnovamento radicale. Soltanto così garantisce la liberazione da ogni dolore, pronto a sciogliersi sotto l’effetto del perenne ritorno della vita. La notizia tremenda della resurrezione chiama in causa ogni
popolo, ogni regione, ogni storia, ogni pensiero: è una notizia globale ed eterna, è memoria proiettata nel futuro per i millenni a venire.
Le voci femminili hanno saputo coniugare momenti personali con la storia degli altri, hanno espresso una simbologia che va al di là della tradizione e meglio hanno interpretato lo spirito di una festa che è anche tormento. Come Alda Marini:
‘…Qui è oggi / Pasqua di Resurrezione / nel senso che si presume / che un cadavere qualsiasi, / forse quello di Dio, / ci voglia portare lontano / insieme ad altri morti. / Ma il giorno che noi ci ameremo / noi entrambi ci daremo morti, / ognuno per conto dell’altro. /
Non volevamo vedere per le linee / i bisogni di pausa, / non volevamo mai sapere / dei loro ingiusti confini, / ma tu non conoscerai mai / la mia guerra / e io non conoscerò mai / la tua pace. / Ma ci ameremo ugualmente / perchè questo / è il Mistero della Resurrezione, / quando l’uomo non riconosce / il mistero degli altri / e lo lascia riposare / nella seta dell’egoismo’.
O come Lucrezia Lerro:
‘Giorni ultimi, giorni pasquali / La verità è l’ordine degli affetti / non ci sono imbrogli… / se all’improvviso uno dei due muore, / l’altro come si consola? / E’ questa luce che mi fa male, / è la Pasqua che mi fa disperare’.
Il rapporto di Amelia Rosselli con Cristo è al di fuori di ogni ortodossia e si colloca nella dimensione della solitudine: ‘Il Cristo trainava (sotto della sua ombrella) (la sua croce) un / informe materiale […] Il Cristo deformava il mondo in mille maniere, catacombe delle lacrime’; e il dialogo con Lui si fa diretto e sfacciato: ‘Perchè morendo ci fai venire a festa? Semmai / era l’altro lato che andava premiato / e tu non rifiutasti quel cibo acerbo / vinaigre di festa e botte sulle spalle’.
Buio e splendore sono i poli contrapposti della poesia religiosa di Margherita Guidacci. In ‘Deposizione’ regna il silenzio assoluto: ‘Nulla più turba la natura esausta. / La terra che tremò nell’ora nona / adesso giace immota’. In ‘Resurrezione’ invece, la luce del Risorto vince le tenebre:
‘Come naufraghi, a stento / sopravvissuti alla burrasca, / atterriti sul lido della notte / stanno i tre soldati, / con l’inutile spada / e l’inutile elmo / su cui improvviso si riflette il guizzo / d’una luce violenta – / il Signore s’innalza dalla tomba / e s’aprono le tenebre /
davanti a Lui come un tempo le onde / del Mar Rosso davanti ad Israele’.
Il mistero non cessa di essere presente nel nostro orizzonte e la poesia di questo tempo non è soltanto fatta di cose: continua a porsi le domande ultime.
E se attraverso il mistero più alto, quello della Passione e della Resurrezione, rimanda necessariamente alla realtà, allora è nelle madri che piangono i figli in guerra che Cristo è di nuovo inchiodato alla croce.
Immagine: Michelangelo Buonarroti, ‘Pietà’, 1497 – 1499. Vaticano, San Pietro.