L’emergenza idrica ha investito numerosi settori, non solo quello dell’agricoltura e della zootecnica. Dopo l’intervento di un mese fa sul nuovo insediamento logistico di Pernate, abbiamo chiesto al presidente dell’Ordine degli agronomi e dei dottori forestali delle province di Novara e Vco , Fabrizio Buttè, che cosa pensa del botta e risposta sulla distribuzione dell’acqua irrigua che sta coinvolgendo il consorzio Est Sesia, la Regione Piemonte e la Regione Lombardia e i risicoltori del novarese della Lomellina.
«Quella era una situazione definita e noi siamo intervenuti con un parere tecnico – afferma il presidente -. Questo è un argomento che riguarda numerosi aspetti, ma soprattutto è una diatriba politica tra Regioni ed enti nella quale non vogliamo entrare. Ci sono, però, alcune considerazioni specifiche che vale la pena approfondire. A cominciare dal fatto che è mancata la programmazione: gli ultimi anni sono stati quelli più caldi, ma l’acqua è razionata da almeno dieci/quindici. Si è dovuto attendere la siccità per accorgersene? La guerra dell’acqua è in atto da tempo tra i sindaci dei territori dei laghi che vogliono il livello più alto a scopi turistici e i consorzi di agricoltori che hanno bisogno l’acqua: si sa che il lago Maggiore è uno dei bacini più importanti per l’irrigazione».
Secondo l’Ordine serve un approccio diverso: «Il problema è la non corretta distribuzione dell’acqua – prosegue Buttè insieme al vice presidente dell’Ordine, Valter Porzio -. C’è bisogno di riorganizzarsi e trovare soluzioni per accumulare, non solo attraverso gli invasi. Per questo motivo è necessario studiare il territorio e capire che cosa si può fare qui. Fino agli anni Ottanta, nell’Ovest Ticino, le coltivazioni erano a rotazione proprio perché l’acqua ha sempre scarseggiato. Bisogna tornare a questo sistema».
«La domanda è: in quale direzione si vuole andare, meglio dare poco a tutti o concentrare l’acqua dove si può ancora irrigare? – proseguono -. Sono argomenti che vanno affronti e che non sono facili da gestire perché bisogna tenere conto delle necessità di tutti. Diversamente rischiamo di perdere le nostre coltivazioni. La politica non può dichiarare che il riso è un’eccellenza, e in effetti lo è, e poi permettere che al posto dei campi coltivati vengano costruiti capannoni. Esistono studi universitari in grado di fornire dati e trovare soluzioni: se solo venissero presi in considerazione».