Ho sempre avuto una insana passione per i film puramente estetici. Perché, se non fosse chiaro, “Mon Crime” del bravo regista François Ozon, non è un film sulle conquiste del nascente femminismo benché contenga, in forma sublimata ed ideale, un forte messaggio sul binomio donna-potere. Madeleine Verdier è un’aspirante attrice che viene molestata da un potente uomo d’affari che, poco dopo, viene ucciso da una sua ex.

Madeleine é sbarcata  a Parigi con una valigia piena di sogni e qui incontra Pauline Mauléon un’avvocatessa, poi coinquilina e amica, che l’aiuterà a trasformare quell’accusa ingiusta nel trampolino di lancio per la sua carriera. Il tribunale diverrà un palcoscenico dove rivendicare, con un certo orgoglio, la giustezza dell’omicidio per legittima difesa. Se la trama non riserva grandi sorprese, compresa la storia d’amore che legherà la giovane attrice al figlio di un capitano d’industria, è invece il modo di raccontare di Ozon che affascina, e non poco, con il suo riuscitissimo scimmiottare le grandi pellicole hollywoodiane, la sua grande capacità di ricostruire ambienti, ma soprattutto le atmosfere di una Parigi anni Trenta a cominciare dalla scena iniziale con una Madeleine Verdier che sembra attraversare il Pont de Tolbiac, disegnato mille volte da Jacques Tardi, fino alla sordida mansarda con vista sui tetti della città che inevitabilmente rimanda a “Sous les toits de Paris” di René Clair. Ma le citazioni visive potrebbero continuare fino ad arrivare alla patina estetica wilderiana che modella tutte le sequenze.

Non so se il film possa piacere a chi va al cinema solo per le storie che il cinema racconta, e non per come le racconta, anzi per la precisione, per come  racconta di come sono state raccontate. Se avete amato film come “The French Dispatch” o come “Delicatessen” e tanti altri, questo film fa per noi, altrimenti no…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Mon crime

Ho sempre avuto una insana passione per i film puramente estetici. Perché, se non fosse chiaro, “Mon Crime” del bravo regista François Ozon, non è un film sulle conquiste del nascente femminismo benché contenga, in forma sublimata ed ideale, un forte messaggio sul binomio donna-potere. Madeleine Verdier è un’aspirante attrice che viene molestata da un potente uomo d’affari che, poco dopo, viene ucciso da una sua ex.

Madeleine é sbarcata  a Parigi con una valigia piena di sogni e qui incontra Pauline Mauléon un’avvocatessa, poi coinquilina e amica, che l’aiuterà a trasformare quell’accusa ingiusta nel trampolino di lancio per la sua carriera. Il tribunale diverrà un palcoscenico dove rivendicare, con un certo orgoglio, la giustezza dell’omicidio per legittima difesa. Se la trama non riserva grandi sorprese, compresa la storia d’amore che legherà la giovane attrice al figlio di un capitano d’industria, è invece il modo di raccontare di Ozon che affascina, e non poco, con il suo riuscitissimo scimmiottare le grandi pellicole hollywoodiane, la sua grande capacità di ricostruire ambienti, ma soprattutto le atmosfere di una Parigi anni Trenta a cominciare dalla scena iniziale con una Madeleine Verdier che sembra attraversare il Pont de Tolbiac, disegnato mille volte da Jacques Tardi, fino alla sordida mansarda con vista sui tetti della città che inevitabilmente rimanda a “Sous les toits de Paris” di René Clair. Ma le citazioni visive potrebbero continuare fino ad arrivare alla patina estetica wilderiana che modella tutte le sequenze.

Non so se il film possa piacere a chi va al cinema solo per le storie che il cinema racconta, e non per come le racconta, anzi per la precisione, per come  racconta di come sono state raccontate. Se avete amato film come “The French Dispatch” o come “Delicatessen” e tanti altri, questo film fa per noi, altrimenti no…

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