Quentin Tarantino: cinema speculation

Dalla rubrica Chez Mimich

Spesso mi dedico alla lettura di libri sul cinema scritti da storici del cinema, critici o registi e lo faccio quasi sempre in estate (senza una precisa ragione). Dire libri “sul cinema”, in realtà significa poco, poiché i libri assumono la fisionomia dei loro autori, più che quella dell’argomento trattato. Così un conto è leggere “Una volta” di Wim Wenders, “Scolpire il tempo” di Andrej Tarkovsky o magari “Zero Gravity” di Woody Allen, un altro conto è leggere un libro come “Cinema Speculation” di Quentin Tarantino.

L’affermazione potrebbe sembrare ovvia, ma non lo è per il semplice motivo che “Cinema Speculation” è un libro completamente “sconclusionato” ed uso il termine nella sua accezione letterale. Non solo Tarantino non arriva a nessuna conclusione, ma non si sa nemmeno bene da cosa incominci. O meglio, cronologicamente inizia dal ricordo del piccolo Quentin, trascinato in polverosi cinema di Los Angeles dai propri genitori e costretto ad assistere a decine di film alla settimana, una ossessione che diventa in fretta passione. Il libro è un lungo ed interrotto monologo, molto crudo, come era ovvio che fosse, molto stimolante e pieno di informazioni sui retroscena delle sceneggiature, degli studios e anche ricco di pettegolezzi.

Quasi un flusso di coscienza ininterrotto che ci fa percorrere i primi anni Settanta del cinema americano, quello che Tarantino imparò fin da bambino a conoscere, ma anche i classici degli anni Cinquanta e Sessanta. Interi ed intensi capitoli sono dedicati a film famosi che magari nella storia del cinema di qualità potrebbero anche occupare posti di secondo piano come “Bullit” di Peter Yates, con il leggendario Steve McQueen o “Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo!” di Don Siegel, fino alla cosiddetta “New Hollywood” degli anni Settanta. Naturalmente nonostante la predilezione di Tarantino per l”Expoliation movie”, ovvero il cinema che mette da parte i valori estetico artistici e predilige azione e violenza, “Revenge movie” film con la vendetta finale del protagonista, e tutta una serie di “B-Movies” (perché di questo si tratta), qualche riconoscimento al cinema americano di qualità è presente, non solo a livello di singola pellicola, come per “Taxi Driver” di Martin Scorsese, ma anche a livello di scuole cinematografiche, come nel caso del cosiddetto “The Movie Brats”, (come fu battezzato dalle colonne del “The New Yorker” dalla leggendaria giornalista Pauline Keal), movimento che ebbe come protagonisti, oltre che a Scorsese appunto, anche registi come Spielberg, De Palma, Lucas e Coppola, una sorte di “Nouvelle Vague” americana che, oltre a guardare al cinema europeo, ammirava grandi personalità del cinema come Alfred Hitchcock, Hakira Kurosawa, Frank Capra, Carol Reed.

Però è inutile nascondere che Tarantino sia attratto assai più da prodotti cinematografici meno raffinati che incentrano le loro tematiche sull’azione, fino ad arrivare ai sottoprodotti del cosiddetto “Snuff Movie”, ovvero il porno autoprodotto con ricatti e sgozzamenti finali. Del resto di questo si sustanzia anche il suo cinema, anche se attraverso la raffinatura della citazione colta che qualche volta sembra tuttavia un pretesto, sebbene ben orchestrato, per tornare a mostrare quello per cui il cinema americano degli anni Cinquanta e Sessanta è diventato famoso. Un libro non facile da leggere per i continui riferimenti a nomi di sceneggiatori, di aiuto sceneggiatori, di registi e aiuto registi, non sempre conosciutissimi, ma anche divertente per il linguaggio che si potrebbe definire colorito. Non amo tantissimo Tarantino regista, amo ancor meno il Tarantino scrittore: forse perché girare un film d’azione è cosa molto diversa da raccontare l’azione in un libro.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Spesso mi dedico alla lettura di libri sul cinema scritti da storici del cinema, critici o registi e lo faccio quasi sempre in estate (senza una precisa ragione). Dire libri “sul cinema”, in realtà significa poco, poiché i libri assumono la fisionomia dei loro autori, più che quella dell’argomento trattato. Così un conto è leggere “Una volta” di Wim Wenders, “Scolpire il tempo” di Andrej Tarkovsky o magari “Zero Gravity” di Woody Allen, un altro conto è leggere un libro come “Cinema Speculation” di Quentin Tarantino.

L’affermazione potrebbe sembrare ovvia, ma non lo è per il semplice motivo che “Cinema Speculation” è un libro completamente “sconclusionato” ed uso il termine nella sua accezione letterale. Non solo Tarantino non arriva a nessuna conclusione, ma non si sa nemmeno bene da cosa incominci. O meglio, cronologicamente inizia dal ricordo del piccolo Quentin, trascinato in polverosi cinema di Los Angeles dai propri genitori e costretto ad assistere a decine di film alla settimana, una ossessione che diventa in fretta passione. Il libro è un lungo ed interrotto monologo, molto crudo, come era ovvio che fosse, molto stimolante e pieno di informazioni sui retroscena delle sceneggiature, degli studios e anche ricco di pettegolezzi.

Quasi un flusso di coscienza ininterrotto che ci fa percorrere i primi anni Settanta del cinema americano, quello che Tarantino imparò fin da bambino a conoscere, ma anche i classici degli anni Cinquanta e Sessanta. Interi ed intensi capitoli sono dedicati a film famosi che magari nella storia del cinema di qualità potrebbero anche occupare posti di secondo piano come “Bullit” di Peter Yates, con il leggendario Steve McQueen o “Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo!” di Don Siegel, fino alla cosiddetta “New Hollywood” degli anni Settanta. Naturalmente nonostante la predilezione di Tarantino per l”Expoliation movie”, ovvero il cinema che mette da parte i valori estetico artistici e predilige azione e violenza, “Revenge movie” film con la vendetta finale del protagonista, e tutta una serie di “B-Movies” (perché di questo si tratta), qualche riconoscimento al cinema americano di qualità è presente, non solo a livello di singola pellicola, come per “Taxi Driver” di Martin Scorsese, ma anche a livello di scuole cinematografiche, come nel caso del cosiddetto “The Movie Brats”, (come fu battezzato dalle colonne del “The New Yorker” dalla leggendaria giornalista Pauline Keal), movimento che ebbe come protagonisti, oltre che a Scorsese appunto, anche registi come Spielberg, De Palma, Lucas e Coppola, una sorte di “Nouvelle Vague” americana che, oltre a guardare al cinema europeo, ammirava grandi personalità del cinema come Alfred Hitchcock, Hakira Kurosawa, Frank Capra, Carol Reed.

Però è inutile nascondere che Tarantino sia attratto assai più da prodotti cinematografici meno raffinati che incentrano le loro tematiche sull’azione, fino ad arrivare ai sottoprodotti del cosiddetto “Snuff Movie”, ovvero il porno autoprodotto con ricatti e sgozzamenti finali. Del resto di questo si sustanzia anche il suo cinema, anche se attraverso la raffinatura della citazione colta che qualche volta sembra tuttavia un pretesto, sebbene ben orchestrato, per tornare a mostrare quello per cui il cinema americano degli anni Cinquanta e Sessanta è diventato famoso. Un libro non facile da leggere per i continui riferimenti a nomi di sceneggiatori, di aiuto sceneggiatori, di registi e aiuto registi, non sempre conosciutissimi, ma anche divertente per il linguaggio che si potrebbe definire colorito. Non amo tantissimo Tarantino regista, amo ancor meno il Tarantino scrittore: forse perché girare un film d’azione è cosa molto diversa da raccontare l’azione in un libro.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.