Questa volta non dovrete avere fretta perchè la mostra di cui vi sto per parlare non è di imminente chiusura, (la chiusura è prevista per il 5 novembre prossimo), ma soprattutto se non vi capitasse l’occasione di raggiungere il Boulevard Raspail a Parigi , vi basterà attendere il prossimo dicembre, poiché le strabilianti opere di Ron Mueck, attualmente esposte alla prestigiosa “Fondation Cartier pour l’Art Contemporaine” faranno tappa alla Triennale di Milano.
Le sette magnifiche sculture dell’artista australiano, che vive stabilmente in Gran Bretagna, sono solitamente accolte dai visitatori con un misto di stupore, ammirazione e inquietudine (quest’ultima qualche volta sostituita dal ribrezzo). Cosa inquieta della scultura di Mueck? Non credo si tratti solo dei soggetti, in questo caso teschi, uomini in lotta con un animale, neonati, cani e navigatori. Quello che in realtà inquieta sono le figure fuori scala, riproduzioni iperrealiste che potrebbero stare in un museo delle cere per fedeltà al reale, ma che in realtà sono un po’ troppo grandi o un po’ troppo piccole per essere uguali al reale.
A sentirci fuori scala e quindi fuori contesto, in realtà siamo noi spettatori. Ron Mueck, nella sua carriera di scultore, ha realizzato “solo” una cinquantina di opere, ma è ugualmente riuscito ad innovare profondamente la scultura figurativa, grazie ad una quasi maniacale ricerca del particolare, alla assoluta originalità dei soggetti e, soprattutto per aver saputo usare e giocare magistralmente su una sorta di sotto-dimensionalità e/o sovra-dimensionalità della sculture. Già nell’esotico giardino della Fondation Cartier ci accoglie “Dead Weight”, opera del 2011, un grande cranio umano di colore brunito, come potrebbe essere un cranio ritrovato in un giacimento archeologico, ma di dimensioni assolutamente innaturali e lasciato allo stato bruto, senza “sgrezzatura”.
La grande hall della Fondation è invece occupata da “Mass” del 2017 che, come dice il titolo, è una grande massa di giganteschi crani ammucchiati l’uno sull’altro. Il cranio umano è un oggetto complesso e simbolicamente molto potente, nonché di immediata riconoscibilità e con infiniti rimandi semantici, dal “memento mori” alla bandiera della filibusta, dall’anatomia artistica alle icone pop; un cranio di diamanti, per esempio, è una delle opere d’arte più celebri di Damien Hirst.
Una massa di crani giganti sembra depotenziare il suo significato a vantaggio di altre letture, compresa quella ludica. Mueck è certamente un maestro in questo tipo di operazioni. Una volta superato lo shock dell’impatto con questa massa di ossa, nella sala accanto prepariamoci ad un altro “coup de théâtre”: eccoci di fronte a “A girl” (2005), una neonata di dimensioni monumentali con gli occhi non completamente dischiusi, ancora imbrattata del sangue del parto. “Nasce l’uomo a fatica ed è rischio di morte il nascimento” scriveva Leopardi (e naturalmente vale anche per la nostra “girl”). Qui gli spettacoli sono due: la scultura e lo stupore inquieto dei visitatori davanti ad una neonata gigantesca, ossimoro della vita. Nelle sale poste al piano interrato, è inutile persino scriverlo, sono i tre giganteschi cani (o canidi) a spaventare il visitatore.
Cosa proteggono questa tre belve domestiche che compaiono in una penombra lugubre? L’opera è magnifica e l’angosciosa paura che trasmette ci ricorda ancora il potere emozionale dell’arte figurativa, pur se nella sua dimensione innaturale. Ron Mueck che fa vivere grandi contrasti, posiziona nella stessa sala “Baby” (del 2000), un altro neonato, questa volta minuscolo e appeso ad una parete, che ricorda un piccolo crocefisso, quasi una icona religiosa che inneggia decisamente alla vita. Anche qui sono proprio le minuscole dimensioni a dare un senso di iper-irrealtà, se mi si passa il termine. Unica opera inedita di tutta la mostra è “This little piggy” del 2023, dove un gruppo di uomini, probabilmente degli allevatori, sta abbattendo un animale, gesto di civiltà contadina, atto violento ma non di violenza gratuita. Ultima opera, nella sala accanto è “Man in the boat” del 2022, certamente una delle sculture migliori di Mueck.
L’opera è stata già vista recentemente alla Triennale di Milano nel contesto della grandiosa “Unknow unknows” dello scorso autunno, nello specifico spazio della sezione “Mondo Reale”, organizzata proprio in collaborazione con la Fondation Cartier pour l’Art Contemporaine. L’uomo, forse il più enigmatico tra quelli modellati da Mueck, siede nudo come in uno stato di indifferente trance sulla prua di una dimessa imbarcazione di legno scuro: le braccia cadenti, lo sguardo perso, una pettinatura da anni Cinquanta.
Chi è quell’uomo? Perché è lì? Cosa pensa, cosa guarda? Le risposte sono affidate al visitatore e va da sé che l’artista non offre suggerimenti o soluzioni, crea solo dubbi. Non occorre quindi che vi precipitiate a Parigi per vedere questa meraviglia, ma se proprio ne sentite la necessità, una capatina nella Ville Lumière, male non può fare…