NU, il Giardino sonoro di Genéviève Lacey e il Bosco che c’è di Antonella Cirigliano

Nel primo pomeriggio appuntamento nel giardino di Palazzo Faraggiana per la seconda giornata di Nu Arts and Community. La dimora della illustre famiglia novarese è uno scrigno di bellezze inconsuete, ai più sconosciute e non solo perché contiene il Museo di Storia naturale e la collezione etnografica dell’esploratore Ugo Ferrandi. Il giardino, dominato dalle moli gigantesche della Cupola di San Gaudenzio e del Campanile, ospita una curiosa collinetta contenente la parte superiore di una enorme ghiacciaia che, nei secoli passati, era un lusso per pochi.

A raccontarlo al pubblico è Silvana Bartoli della Fondazione Faraggiana e a riferirlo poi a Genviéve Lacey, l’artista che ha operato nel giardino, è Ricciarda Belgiojoso. Il giardino della nobile casa novarese sembra essere diventato il palcoscenico ideale per installazioni site specific, come già è stato per l’opera di Francesco Simeti nel giugno scorso in occasione di Novara Jazz Festival. Questa volta tocca all’artista australiana cimentarsi in una suggestiva installazione sonora che ha per titolo “Pleasure Garden. A Listening Garden”.

Si tratta di un percorso abitato da suoni minimali e/o solenni, che mutano al passaggio dei visitatori. I suoni, oltre che dalla stessa Lacey, sono composti dal compositore norvegese Jan Bang e integrati con musica del XVII secolo del compositore Jacob van Eyck, oltre a piccoli rumori naturali o della foresta. L’installazione resterà visibile, anzi audibile, fino al 24 settembre.

Subito dopo per pochi eletti, artista compresa, Silvana Bartoli illustra, al primo piano del palazzo, un affresco molto particolare che decora uno dei saloni più belli della dimora, inopinatamente adattato ad ufficio comunale. Si tratta di un Bacco ermafrodita, soggetto molto raro, che ebbe origine in età ellenistica e attraversò con alterne fortune la storia della pittura occidentale. Al pomeriggio due appuntamenti quasi coincidenti che impongono una scelta: la performance di Antonella Cirigliano, dal titolo “Il Bosco che non c’è | Neverwood” oppure “Ukulele Turin Orchestra” in una rivisitazione di “ The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd. Scelgo la performance che per freschezza, originalità e divertimento supera ogni più rosea aspettativa. Un percorso in un bosco immaginario fatto di allusioni e poche parole in italiano e in inglese, dove il pubblico è condotto ed invitato ad interagire coi performer. Dal cortile esterno si passa all’interno di Nòva, in cui la cui sala performer sembra trasformata in un laboratorio patafisico-teatrale: parrucche, specchi, chincaglierie, cappellini, libri, bastoni, cuscini… Dopo essersi liberato delle scarpe e degli effetti personali, il piccolo popolo denudato da alcune materiali certezze viene ridotto in uno stadio di infanzia forzata, che permette di risvegliare la gioia atavica del gioco a cominciare da quello del travestimento, nascondino, mosca cieca, una mosca cieca un po’ particolare dove le mosche in realtà sono i performers che, dopo aver fatto sdraiare a terra gli spettatori bendati, incominciano un sapiente gioco di spaesamento e rilassamento fatto di piccoli suoni, soffi, rumori ovattati che proiettano lo spettatore divenuto esso stesso performer, in una dimensione desueta dove l’ascolto minimale di suoni che non si sa da dove provengano, determina una specie di divertita trance, ma visto che la “realtà virtuale” credo abbia ormai un po’ rotto le palle a tutti, con rispetto parlando, il magnifico solletico sonoro e mentale di Antonella Cirigliano e degli altri artisti, mette in piedi qualcosa che potremmo chiamare un esperimento di “virtualità reale”.

Spettatori soddisfatti e molto divertiti che, una volta sbendati, vengono raccolti attorno ad un cumulo di terra in ebollizione, in circolo come in un rito ctonio. Sono quindi i performers a sparire uno ad uno, lasciando solo il pubblico che a poco a poco esce dalla sala dell’incantesimo, ritrovando le proprie cose accanto ad una piccola e deliziosa tazza di té. Non c’è solo il divertimento in questa magnifica performance, bensì lo spostamento degli assi mentali del nostro percepire il mondo e le cose. Una bacca basta per evocare il bosco, un rametto sostituisce un albero, un indumento apre le porte ad un mondo: è l’immortale gioco della fascinazione e del fantastico, sul quale il collettivo verbanese invita a riflettere con un occhio di riguardo per la madre di tutte le fantasie ed immaginazioni: la natura.

Prima dei concerti serali a Nòva il vernissage della mostra di Nicolò Baraggioli presso Rest-Art con la consuete affabulanti introduzioni di Marco Tagliafierro. Si continua oggi, naturalmente…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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NU, il Giardino sonoro di Genéviève Lacey e il Bosco che c’è di Antonella Cirigliano

Nel primo pomeriggio appuntamento nel giardino di Palazzo Faraggiana per la seconda giornata di Nu Arts and Community. La dimora della illustre famiglia novarese è uno scrigno di bellezze inconsuete, ai più sconosciute e non solo perché contiene il Museo di Storia naturale e la collezione etnografica dell’esploratore Ugo Ferrandi. Il giardino, dominato dalle moli gigantesche della Cupola di San Gaudenzio e del Campanile, ospita una curiosa collinetta contenente la parte superiore di una enorme ghiacciaia che, nei secoli passati, era un lusso per pochi.

A raccontarlo al pubblico è Silvana Bartoli della Fondazione Faraggiana e a riferirlo poi a Genviéve Lacey, l’artista che ha operato nel giardino, è Ricciarda Belgiojoso. Il giardino della nobile casa novarese sembra essere diventato il palcoscenico ideale per installazioni site specific, come già è stato per l’opera di Francesco Simeti nel giugno scorso in occasione di Novara Jazz Festival. Questa volta tocca all’artista australiana cimentarsi in una suggestiva installazione sonora che ha per titolo “Pleasure Garden. A Listening Garden”.

Si tratta di un percorso abitato da suoni minimali e/o solenni, che mutano al passaggio dei visitatori. I suoni, oltre che dalla stessa Lacey, sono composti dal compositore norvegese Jan Bang e integrati con musica del XVII secolo del compositore Jacob van Eyck, oltre a piccoli rumori naturali o della foresta. L’installazione resterà visibile, anzi audibile, fino al 24 settembre.

Subito dopo per pochi eletti, artista compresa, Silvana Bartoli illustra, al primo piano del palazzo, un affresco molto particolare che decora uno dei saloni più belli della dimora, inopinatamente adattato ad ufficio comunale. Si tratta di un Bacco ermafrodita, soggetto molto raro, che ebbe origine in età ellenistica e attraversò con alterne fortune la storia della pittura occidentale. Al pomeriggio due appuntamenti quasi coincidenti che impongono una scelta: la performance di Antonella Cirigliano, dal titolo “Il Bosco che non c’è | Neverwood” oppure “Ukulele Turin Orchestra” in una rivisitazione di “ The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd. Scelgo la performance che per freschezza, originalità e divertimento supera ogni più rosea aspettativa. Un percorso in un bosco immaginario fatto di allusioni e poche parole in italiano e in inglese, dove il pubblico è condotto ed invitato ad interagire coi performer. Dal cortile esterno si passa all’interno di Nòva, in cui la cui sala performer sembra trasformata in un laboratorio patafisico-teatrale: parrucche, specchi, chincaglierie, cappellini, libri, bastoni, cuscini… Dopo essersi liberato delle scarpe e degli effetti personali, il piccolo popolo denudato da alcune materiali certezze viene ridotto in uno stadio di infanzia forzata, che permette di risvegliare la gioia atavica del gioco a cominciare da quello del travestimento, nascondino, mosca cieca, una mosca cieca un po’ particolare dove le mosche in realtà sono i performers che, dopo aver fatto sdraiare a terra gli spettatori bendati, incominciano un sapiente gioco di spaesamento e rilassamento fatto di piccoli suoni, soffi, rumori ovattati che proiettano lo spettatore divenuto esso stesso performer, in una dimensione desueta dove l’ascolto minimale di suoni che non si sa da dove provengano, determina una specie di divertita trance, ma visto che la “realtà virtuale” credo abbia ormai un po’ rotto le palle a tutti, con rispetto parlando, il magnifico solletico sonoro e mentale di Antonella Cirigliano e degli altri artisti, mette in piedi qualcosa che potremmo chiamare un esperimento di “virtualità reale”.

Spettatori soddisfatti e molto divertiti che, una volta sbendati, vengono raccolti attorno ad un cumulo di terra in ebollizione, in circolo come in un rito ctonio. Sono quindi i performers a sparire uno ad uno, lasciando solo il pubblico che a poco a poco esce dalla sala dell’incantesimo, ritrovando le proprie cose accanto ad una piccola e deliziosa tazza di té. Non c’è solo il divertimento in questa magnifica performance, bensì lo spostamento degli assi mentali del nostro percepire il mondo e le cose. Una bacca basta per evocare il bosco, un rametto sostituisce un albero, un indumento apre le porte ad un mondo: è l’immortale gioco della fascinazione e del fantastico, sul quale il collettivo verbanese invita a riflettere con un occhio di riguardo per la madre di tutte le fantasie ed immaginazioni: la natura.

Prima dei concerti serali a Nòva il vernissage della mostra di Nicolò Baraggioli presso Rest-Art con la consuete affabulanti introduzioni di Marco Tagliafierro. Si continua oggi, naturalmente…

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.