Processo per maltrattamenti bloccato, il padre della vittima: «Attendo giustizia da 7 anni»

tribunale il caldo
Una storia incredibile che risale al 2016 e che fatica a passare all’esame del giudice per una serie di «ordinari» inghippi giudiziari

Un processo bloccato da cavilli e disguidi. Per gli addetti ai lavori nulla di anormale; per i cittadini, e in particolare le vittime, difficili da capire: «Sono sette anni che attendo la conclusione di questa vicenda. Voglio giustizia». E’ lo sfogo di A.P., padre della vittima, l’altra mattina in tribunale a Novara al processo per maltrattamenti ai danni della figlia che vede imputato il genero B.I., trentaduenne tunisino già condannato a 30 anni di reclusione per aver ucciso la convivente il 22 luglio 2016.

I maltrattamenti contestati sono riferiti al periodo precedente il delitto. Fatti che paradossalmente sono arrivati in aula con un po’ di ritardo e che faticano a passare all’esame del giudice per una serie di «ordinari» inghippi del mondo della giustizia: problemi a rintracciare i testimoni, sospensione per il Covid, perfino un cambio di difensore da parte dell’imputato, cambio che dal carcere non era stato comunicato all’autorità giudiziaria novarese. Finora tutte le udienze celebratesi sono saltate e così è successo anche questa settimana, quando non era possibile neanche il videocollegamento col carcere di Padova, dove il tunisino è detenuto. Si torna in aula nel febbraio del prossimo anno, quando finalmente si dovrebbe arrivare a sentenza.

Agli atti del procedimento è già finita la denuncia della vittima, utilizzabile come prova non potendo essere più ripetuta la sua testimonianza. Nei capi d’accusa si parla di litigi frequenti. B.I. avrebbe insultato e minacciato più volte la compagna: «Non vali niente», «Sappi che il cacciavite ammazza».

Fra gennaio e maggio del 2016, quindi pochi mesi prima dell’omicidio, c’erano stati anche due ricoveri della donna al pronto soccorso: in una delle due occasioni il marito, che nega gli addebiti come aveva negato l’omicidio, l’avrebbe scaraventata contro un mobile.

Sono parte civili i genitori della donna assassinata.

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Processo per maltrattamenti bloccato, il padre della vittima: «Attendo giustizia da 7 anni»

Una storia incredibile che risale al 2016 e che fatica a passare all’esame del giudice per una serie di «ordinari» inghippi giudiziari

tribunale il caldo

Un processo bloccato da cavilli e disguidi. Per gli addetti ai lavori nulla di anormale; per i cittadini, e in particolare le vittime, difficili da capire: «Sono sette anni che attendo la conclusione di questa vicenda. Voglio giustizia». E’ lo sfogo di A.P., padre della vittima, l’altra mattina in tribunale a Novara al processo per maltrattamenti ai danni della figlia che vede imputato il genero B.I., trentaduenne tunisino già condannato a 30 anni di reclusione per aver ucciso la convivente il 22 luglio 2016.

I maltrattamenti contestati sono riferiti al periodo precedente il delitto. Fatti che paradossalmente sono arrivati in aula con un po’ di ritardo e che faticano a passare all’esame del giudice per una serie di «ordinari» inghippi del mondo della giustizia: problemi a rintracciare i testimoni, sospensione per il Covid, perfino un cambio di difensore da parte dell’imputato, cambio che dal carcere non era stato comunicato all’autorità giudiziaria novarese. Finora tutte le udienze celebratesi sono saltate e così è successo anche questa settimana, quando non era possibile neanche il videocollegamento col carcere di Padova, dove il tunisino è detenuto. Si torna in aula nel febbraio del prossimo anno, quando finalmente si dovrebbe arrivare a sentenza.

Agli atti del procedimento è già finita la denuncia della vittima, utilizzabile come prova non potendo essere più ripetuta la sua testimonianza. Nei capi d’accusa si parla di litigi frequenti. B.I. avrebbe insultato e minacciato più volte la compagna: «Non vali niente», «Sappi che il cacciavite ammazza».

Fra gennaio e maggio del 2016, quindi pochi mesi prima dell’omicidio, c’erano stati anche due ricoveri della donna al pronto soccorso: in una delle due occasioni il marito, che nega gli addebiti come aveva negato l’omicidio, l’avrebbe scaraventata contro un mobile.

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