Una residenza a Tenerife, una carriera negli Stati Uniti e un legame così forte con lo spartito di Bohème come i novaresi ce l’hanno con la Cupola dell’Antonelli. Josè Luis Gomez, 45 anni, di nazionalità spagnola ma di origini venezuelane, dirigerà da stasera a domenica l’Orchestra filarmonica italiana, appunto, ne La Bohème di Puccini al Teatro Coccia. Un riallestimento del Teatro Del Giglio di Lucca con la regia di Giacomo Gandini e le scene di Italo Grassi.
Qui a Novara Gomez era stato già nel 2020, nella prima giuria del ritrovato Premio Cantelli: è rimasto in contatto e ora torna da protagonista.
«Sai che Bohème è stata la mia opera di debutto nel 2012 a Francoforte? – dice -. Poi l’ho diretta altre tre volte in Spagna e in diverse produzioni in forma semi scenica. Con lei c’è un legame molto forte: è un capolavoro da cui traspare tutta l’energia di gioventù, arriva al cuore e ti lascia ogni volta con la sensazione di non volere mai arrivare mai alla fine. Credo che anche Puccini non la volesse davvero concludere».
In che senso? «Nessuno di noi vuole accettare la morte, una così giovane come quella di Mimì ancora meno. Per cui voglio pensare che il Maestro questo finale volesse lasciarlo andare. E ce lo dice chiaramente anche dal punto di vista musicale: quei quattro violini in sospeso fanno pensare a una conclusione che non finisce, a un desiderio di vita più forte di qualunque altra cosa. È proprio questa la forza della musica pucciniana e Bohème vince sempre, ma bisogna saperla rispettare».
Sono stati giorni intensissimi di prove, con due generali mercoledì e giovedì, la prima stasera e poi altre due repliche. «Avere il doppio cast è molto impegnativo ma anche una sfida: da una parte l’esperienza dall’altra i giovani che sono più acerbi ma pieni di entusiasmo».
Che Bohème sarà quella che vedremo qui a Novara? «Questo è uno dei titoli più rappresentati e cadere in tentazione può sembrare facile. Vorrei, invece, tornare il più possibile al testo e alla sua originalità e per fare questo mi sono affidato alla produzione del 1946 diretta da Arturo Toscanini al Metropolitan di New York – di cui esiste una registrazione – a cinquant’anni dal debutto, che è una pietra miliare per chi fa questo lavoro. Ho provato ad avvicinarmi il più possibile a quella interpretazione».
Studiato ogni singolo dettaglio, quali sono le scaramanzie che il Maestro Gomez mette in atto il giorno della prima? «Nessuna, per carità» dice ridendo. Ma non gli crediamo e insistiamo dicendogli: tutti gli artisti sono scaramantici. «Allora rubo le parole del grande direttore Daniel Barenboim – si “confessa” – non ne voglio sapere di scaramanzie perché poi il giorno che le ignoro cosa succede?» ride di nuovo e poi riprende: «A parte di scherzi, il giorno della prima non mi piace prendere altri impegni, cerco di restare tranquillo e concentrato e di evitare troppi contatti umani… la mia testa deve essere pronta per lo spartito».