Per una domenica, sarà ancora domenica con Roberto Baggio allo stadio Piola

Il “divin codino” domenica 7 luglio sarà a Novara per Operazione nostalgia

«Ah, da quando Baggio non gioca più, non è più domenica». Alzi la mano chi, tra noi “Millennials” e dintorni, non l’ha canticchiata tra sé e sé almeno una volta e la tenga alzata chi, nel farlo, non abbia visto scorrere dagli occhi non dico una lacrimuccia ma quantomeno un velo di tristezza mista a nostalgia. Vent’anni senza che domenica fosse domenica. Perché Baggio (come Senna, citato anche lui nella stessa canzone, Marmellata #25 di Cesare Cremonini, non a caso figlio di quel tempo) ha rappresentato dalle “notti magiche” italiane in poi un simbolo delle passioni e delle emozioni di un Paese intero. Non solo dei calciofili. Un simbolo è tale perché capace di unire, di attrarre, di conquistare… di rimanere nel tempo. Eccolo lì, Roby Baggio, il suo codino iconico, quello sguardo assorto e poi la sfortuna, il dolore (fisico e non) con cui ha dovuto fare i conti come contrappasso a quel talento senza eguali che natura gli donò. Una carriera a combattere con i guai alle ginocchia, una carriera a regalare magie e un errore, quello dal dischetto che costò la finale del Mondiale 1994, a renderlo l’eroe più vero di tutti: un eroe fallibile, un eroe umano. Uno di noi e per questo destinatario di amore incondizionato… e non che ai tempi, prima dei social, non esistessero quelli che oggi si chiamano “haters”. Un eroe non destinato a finire “giovane e forte” ma capace, col passare degli anni, di mostrare tutta la propria umanità, in ogni caduta e in ogni volta che si è rialzato. Ancora oggi Baggio è uno dei pochi calciatori ad aver vestito tutte e tre le maglie delle “grandissime” del nostro campionato (in ordine cronologico: Juventus, Milan, Inter) e uno dei pochissimi a esser stato grande tra i grandi e leggendario tra i piccoli, “mago” di provincia nella sua seconda e terza vita calcistica, tra Brescia e Bologna.

Sono vent’anni che non è più domenica, da Milan – Brescia del 16 maggio 2004, la sua ultima partita. L’8 giugno (ma era sabato…) l’orologio è ripartito: a Salerno, il “divin codino” è tornato su un campo da calcio, lasciato ai tempi in punta di piedi, senza la necessità, la volontà e talvolta la presunzione di chi – dismessi gli scarpini – si è forzato a una nuova vita, sempre nel mondo del calcio. E’ tornato dietro le quinte, dove ha sempre amato stare, lontano dai riflettori che lo hanno inseguito per due decenni e a stretto contatto con la natura, nel suo veneto. Il suo ritorno in campo sembrava essere una magia destinata a non ripetersi: per l’ennesima volta un imprevisto, una brutale rapina di cui è stato vittima con la famiglia, sembrava essersi messo di mezzo. E una volta di più lui ha scelto la strada meno semplice, ha scelto di reagire: a Novara, per il raduno di Operazione Nostalgia del 7 luglio, ha scelto di esserci lo stesso. Per curare, scarpini ai piedi, nel modo migliore l’ennesima “ferita”: sul prato verde, circondato dall’amore di tutti. Stavolta sì, sarà domenica. Almeno per un’altra volta.

Mentre scrivo queste righe, google news mi ricorda che esattamente trent’anni fa “nacque” il mito di Baggio al Mondiale americano e ho deciso di condividere il mio flusso di pensieri e ricordi, perché in qualche modo spiega perfettamente chi sia per gli italiani Roberto Baggio. Trent’anni fa, il 5 luglio, ne avevo otto appena. Come spesso d’estate, ero a Napoli, accudito dall’amore dei nonni. L’Italia giocava gli ottavi di finale del Mondiale contro la Nigeria (non ricordo l’orario preciso ma era il tardo pomeriggio, la fascia prescelta da noi ragazzini per ritrovarci al campetto a dare qualche calcio al pallone, scemato oramai il grande caldo del primo pomeriggio), noi replicavamo la partita con delle divise arrangiate e un pallone assai poco “regolamentare”. Nemmeno le porte erano perfettamente in asse tra loro, ma poco ci importava.

Tra un tiro e l’altro, tendevamo le orecchie per cogliere le reazioni dalle case circostanti, dove tutti erano sintonizzati sull’incontro. “Noooo”, un urlo sordo di migliaia di voci. La Nigeria stava vincendo. Il tempo passava, aspettavamo un boato che non arrivava mai, fino all’ora di cena, quando ce ne andammo mesti, salutandoci con qualche “dai c’è ancora tempo” di incoraggiamento. Il boato arrivò lungo la strada di casa. Aveva segnato Baggio, quasi allo scadere, ma ancora non lo sapevo. Come non sapevo che avrei avuto appena il tempo di arrivare a casa, salire di corsa e fare irruzione davanti al televisore per vederlo trasformare dal dischetto il gol del definitivo sorpasso. E unirmi, poco dopo, alla festa che prese vita per le strade. Ero felice e, questo sì, lo sapevo benissimo. Come lo sono oggi nel ricordarlo. Negli occhi, quando domenica rivedrò Roberto Baggio sul campo del Piola, avrò anche queste immagini.

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Giuseppe Maddaluno

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Per una domenica, sarà ancora domenica con Roberto Baggio allo stadio Piola

Il “divin codino” domenica 7 luglio sarà a Novara per Operazione nostalgia

«Ah, da quando Baggio non gioca più, non è più domenica». Alzi la mano chi, tra noi “Millennials” e dintorni, non l’ha canticchiata tra sé e sé almeno una volta e la tenga alzata chi, nel farlo, non abbia visto scorrere dagli occhi non dico una lacrimuccia ma quantomeno un velo di tristezza mista a nostalgia. Vent’anni senza che domenica fosse domenica. Perché Baggio (come Senna, citato anche lui nella stessa canzone, Marmellata #25 di Cesare Cremonini, non a caso figlio di quel tempo) ha rappresentato dalle “notti magiche” italiane in poi un simbolo delle passioni e delle emozioni di un Paese intero. Non solo dei calciofili. Un simbolo è tale perché capace di unire, di attrarre, di conquistare… di rimanere nel tempo. Eccolo lì, Roby Baggio, il suo codino iconico, quello sguardo assorto e poi la sfortuna, il dolore (fisico e non) con cui ha dovuto fare i conti come contrappasso a quel talento senza eguali che natura gli donò. Una carriera a combattere con i guai alle ginocchia, una carriera a regalare magie e un errore, quello dal dischetto che costò la finale del Mondiale 1994, a renderlo l’eroe più vero di tutti: un eroe fallibile, un eroe umano. Uno di noi e per questo destinatario di amore incondizionato… e non che ai tempi, prima dei social, non esistessero quelli che oggi si chiamano “haters”. Un eroe non destinato a finire “giovane e forte” ma capace, col passare degli anni, di mostrare tutta la propria umanità, in ogni caduta e in ogni volta che si è rialzato. Ancora oggi Baggio è uno dei pochi calciatori ad aver vestito tutte e tre le maglie delle “grandissime” del nostro campionato (in ordine cronologico: Juventus, Milan, Inter) e uno dei pochissimi a esser stato grande tra i grandi e leggendario tra i piccoli, “mago” di provincia nella sua seconda e terza vita calcistica, tra Brescia e Bologna.

Sono vent’anni che non è più domenica, da Milan – Brescia del 16 maggio 2004, la sua ultima partita. L’8 giugno (ma era sabato…) l’orologio è ripartito: a Salerno, il “divin codino” è tornato su un campo da calcio, lasciato ai tempi in punta di piedi, senza la necessità, la volontà e talvolta la presunzione di chi – dismessi gli scarpini – si è forzato a una nuova vita, sempre nel mondo del calcio. E’ tornato dietro le quinte, dove ha sempre amato stare, lontano dai riflettori che lo hanno inseguito per due decenni e a stretto contatto con la natura, nel suo veneto. Il suo ritorno in campo sembrava essere una magia destinata a non ripetersi: per l’ennesima volta un imprevisto, una brutale rapina di cui è stato vittima con la famiglia, sembrava essersi messo di mezzo. E una volta di più lui ha scelto la strada meno semplice, ha scelto di reagire: a Novara, per il raduno di Operazione Nostalgia del 7 luglio, ha scelto di esserci lo stesso. Per curare, scarpini ai piedi, nel modo migliore l’ennesima “ferita”: sul prato verde, circondato dall’amore di tutti. Stavolta sì, sarà domenica. Almeno per un’altra volta.

Mentre scrivo queste righe, google news mi ricorda che esattamente trent’anni fa “nacque” il mito di Baggio al Mondiale americano e ho deciso di condividere il mio flusso di pensieri e ricordi, perché in qualche modo spiega perfettamente chi sia per gli italiani Roberto Baggio. Trent’anni fa, il 5 luglio, ne avevo otto appena. Come spesso d’estate, ero a Napoli, accudito dall’amore dei nonni. L’Italia giocava gli ottavi di finale del Mondiale contro la Nigeria (non ricordo l’orario preciso ma era il tardo pomeriggio, la fascia prescelta da noi ragazzini per ritrovarci al campetto a dare qualche calcio al pallone, scemato oramai il grande caldo del primo pomeriggio), noi replicavamo la partita con delle divise arrangiate e un pallone assai poco “regolamentare”. Nemmeno le porte erano perfettamente in asse tra loro, ma poco ci importava.

Tra un tiro e l’altro, tendevamo le orecchie per cogliere le reazioni dalle case circostanti, dove tutti erano sintonizzati sull’incontro. “Noooo”, un urlo sordo di migliaia di voci. La Nigeria stava vincendo. Il tempo passava, aspettavamo un boato che non arrivava mai, fino all’ora di cena, quando ce ne andammo mesti, salutandoci con qualche “dai c’è ancora tempo” di incoraggiamento. Il boato arrivò lungo la strada di casa. Aveva segnato Baggio, quasi allo scadere, ma ancora non lo sapevo. Come non sapevo che avrei avuto appena il tempo di arrivare a casa, salire di corsa e fare irruzione davanti al televisore per vederlo trasformare dal dischetto il gol del definitivo sorpasso. E unirmi, poco dopo, alla festa che prese vita per le strade. Ero felice e, questo sì, lo sapevo benissimo. Come lo sono oggi nel ricordarlo. Negli occhi, quando domenica rivedrò Roberto Baggio sul campo del Piola, avrò anche queste immagini.