Fine della storia autonoma per l’Istituto Gaudenzio De Pagave. Lo storico ente, in passato Ipab (Istituto pubblico di assistenza e beneficenza, come vennero trasformate nel 1890 dalla corposa “legge Crispi” le antiche Opere pie private) e poi dal 2017 riordinato in Apsp (Azienda pubblica di servizi alla persona), sarà “estinto” dalla Regione Piemonte.
A collocare una fatidica pietra tombale sarà dunque un prossimo provvedimento della giunta Cirio. L’intero patrimonio passerà al Comune di Novara, che si farà carico di saldare gli arretrati dei dipendenti, qualcosa come poco più di 800 mila euro. Questa acquisizione (immobili per 1,8 milioni di euro, ai quali di deve aggiungere la sede di via Lazzarino, il cui valore sarà quantificato al termine di una perizia in corso) è stata la condizione che l’amministrazione cittadina ha posto per concludere l’operazione e che adotterà formalmente, dopo aver raggiunto un accordo con le organizzazioni sindacali di categoria, con apposite variazioni al bilancio.
La “situazione De Pagave”, da tempo in regime commissariale in coseguenza dell’impossibilità della nomina di un cda, e i suoi ultimi sviluppi sono stati illustrati ieri pomeriggio, venerdì 5 luglio, a Palazzo Cabrino in occasione di un’apposita commissione. A relazionare è stato il commissario Remigio Belcredi, presentatosi alla riunione con Davide Porta, presidente della cooperativa “Nuova Assistenza”, soggetto che dall’inizio del 2023 ha ottenuto dall’Apsp l’incarico di gestire, con un contratto della durata di 20 anni, i servizi dell’istituto. L’arrivo di Porta ha però provocato una reazione da parte della minoranza: «La cooperativa “Nuova Assistenza” abbiamo già avuto modo di incontrarla e di conoscere le migliorie che ha introdotto», da detto il capogruppo del Pd, Nicola Fonzo, al quale Porta ha replicato piccato che «nell’interesse del De Pagave io torno a lavorare».
A parlare è stato così il solo Belcredi, ricordando che «a partire dallo scorso mese di novembre ho valutato che non esistessero più i presupposti per il mantenimento dell’azienda. Da successive interlocuzioni con la Regione e con il Comune si è prospettata la possibilità da parte di quest’ultimo di assumersi il pagamento dei debiti utilizzando una parte del suo avanzo in cambio della devoluzione a suo favore dell’intero patrimonio». Nei mesi scorsi la Regione ha prorogato l’incarico al commissario («Teoricamente per un altro anno, ma spero molto meno»), mostrandosi favorevole all’operazione, «chiedendo di formalizzare un accordo con i sindacati per il pagamento delle retribuzioni arretrate».
A fine giugno l’intesa con Cgil, Cisl e Uil è stata raggiunta sulla base dell’80% dei crediti vantati dai dipendenti, condizionata però alla procedura di estinzione dell’Apsp, che non ha liquidità in cassa per provvedere: «Un accordo – ha precisato Belcredi – che diventerà esecutivo una volta che Torino adotterà un proprio atto la fine dell’attuale De Pagave». Inoltre la Regione ha chiesto «una perizia giurata di tutto il patrimonio dell’ente, incluso l’immobile dove vie svolta l’attività di Rsa. La documentazione finale dovrebbe arrivare la prossima settimana».
Ma qual è la consistenza del patrimonio del De Pagave? «Vari immobili, tra cui il “lascito Pavesi”, oltre al canone percepito dalla cooperativa Nuova Assistenza (solo questa voce garantirà un gettito di 180 mila euro annui, quando l’attività andrà a pieno regime al termine di alcuni lavori, ndr), per qualcosa come 1,8 milioni di euro. I debiti sono quelli vantati dai dipendenti, cifra ora di poco superiore agli 800 mila euro. Esiste poi il problema legato all’Imu (110 mila euro per cinque anni, ndr), per il quale chiedevamo l’esenzione non essendo la nostra un’attività commerciale». Problema che una volta completata l’operazione non dovrebbe più porsi, in quando l’amministrazione dovrebbe pagare… se stessa.
Insomma, per tutti si tratta di un passaggio dal quale tutti i soggetti potranno trarne beneficio. Dallo stesso istituto, che continuerà a erogare i suoi servizi, al Comune, che si troverà un patrimonio non indifferente, cui toccherà il compito però di valorizzare. Con l’unica incognita, come ha detto ancora Fonzo, che non si verifichino problemi legati alla mancata accettazione (ipotesi considerata “remota”) dell’accordo quadro da parte di qualche dipendente.