Ha scelto di andarsene in punta di piedi, come aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita, lontano dai riflettori, nella tranquillità di una baita a Vanzone con San Carlo, in Ossola. Il mondo del cinema piange Bruno Zanin, spentosi nella notte fra domenica e lunedì a 73 anni. Originario di Vigonovo, piccolo centro dell’entroterra veneziano, il suo nome è legato alla partecipazione nelle vesti del protagonista – Titta, – nell’opera di Federico Fellini “Amarcord”, pellicola che nel 1975 conquistò il premio Oscar come miglior film non in lingua inglese.
Una parte che Zanin ottenne quasi casualmente dopo essere stato notato a CineCittà dal regista riminese e che gli permise, per uno che non aveva mai recitato prima di allora in vita sua, di vedersi aperte le porte del cinema e soprattutto del teatro. Questo sino all’inizio degli anni ’90, quando decise di dedicarsi al giornalismo (fu corrispondente di guerra per Radio Vaticana in Bosnia), al mondo del volontariato per conto della Ong Emmaus e quello di scrittore, pubblicando anche un romanzo in parte autobiografico, “Nessuno dovrà saperlo”. Schivo, modesto e dai modi semplici, da qualche anno come detto la sua scelta di vivere in una baita in mezzo ai boschi dell’Ossola.
A Novara era venuto il 13 ottobre del 2015 in occasione di una proiezione speciale di “Amarcord” in una versione appena restaurata dalla Cineteca di Bologna: «Per quella circostanza – ricorda Mario Tosi, storico gestore del Vip e dell’Araldo – organizzammo due serate nella sala di via Perazzi. Alla “prima” portammo Zanin e il giorno dopo, per chi non ebbe modo di poterlo incontrare, riuscimmo a effettuare un video collegamento con lui. Una persona veramente gentile e disponibile».