Quella del Centre Pompidou, “Bande Dessinée 1914-2024” è indubbiamente una grande mostra (curata da Anne Lemonnier e Emmanuel Payen), forse la più bella esposizione realizzata in Francia e anche in Europa sul fumetto. Eppure, prima di continuare nella descrizione, occorre spendere qualche parole, oltre che sulle presenze, anche sulle assenze (e sulle defezioni), in particolare sulle assenze di molti artisti italiani di un certo rilievo. Se ne potrebbero citare tanti: GiPi, Igort, Filippo Scòzzari, Giorgio Carpinteri, Franco Saudelli e altri. C’è altresì da precisare, per esempio nel caso di Igort, che l’assenza è dovuta ad una questione tecnica più che a una scelta sostanziale: il Centre Pompidou infatti, per questa mostra, accettava esclusivamente tavole realizzate con tecniche tradizionali, escludendo quelle digitali. Scelta davvero molto molto discutibile, poiché mi sembra del tutto evidente che la storia del fumetto vada di pari passo con la storia delle tecniche (come per qualsiasi altro mezzo narrativo dalla letteratura, al cinema). Sputato questo rospo di difficile digestione, la mostra è uno spettacolo tutto da gustare (almeno fino al 24 novembre prossimo).
Non rispettando necessariamente un ordine cronologico, aggirarsi tra gli spazi della mostra, spesso fusa insieme alle opere della Collection moderne et contemporaine, è un sopraffino godimento estetico. Tanto vale però dare un’occhiata alla preistoria del fumetto, magari con le tavole di Winsor McCay, il leggendario creatore di Little Nemo, del quale i curatori espongono alcune strabilianti tavole della serie “Little Nemo in Slumberland”. Sempre restando con i piedi ben piantati nella storia (leggendaria) del fumetto, ecco scorrere davanti ai nostri occhi, il Krazy Kat di George Herriman, con le pagine del “Los Angeles Herald” che pubblicò le storie del profetico gatto a partire dal 1913. Personaggi e luoghi, come la mitica contea di Coconino, che non possono non suscitare un brivido di piacere a chi conosce la storia del fumetto. Piluccando, come quando si è di fronte ad un vassoio di dolci, la Barbarella di Jean-Claude Forest,in una magnifica tavola del 1964 sui toni dell’azzurro, incanta per preveggenza immaginativa di una fantascienza un po’ ingenua, ma di grande poesia. Le sezioni in cui è suddivisa la mostra, suggeriscono un percorso ( con tante tappe, da “Littérature” a “Couleur, noir et blanc”, passando per “Rêve” e “Contre-culture”) che mi piace, un po’ anarchicamente non rispettare, a vantaggio di una vera flanerie estetico-emozionale attraverso segno, colore, forma (e lettering), che mi avvince molto di più del percorso didascalico proposto dagli organizzatori.
In questa galleria delle meraviglie è difficile non avere un sussulto ad ogni pannello: ecco qui il piccolo e coriaceo Asterix di Albert Uderzo nel magnifico “Asterix chez le Belges”, una tavola a china conservata nientemeno che alla Bibliothèque National de France, e a pochi centimetri la visione di uno Snoopy di Schulz anni Cinquanta, poi poco distante una tavola di “Calvin & Hobbs” di Bill Watterson datata 1993. In questo Olimpo della bande dessinée è facile perdere la testa e la bussola, per la sorpresa di vedere autori mai visti prima in originale, anche perché piuttosto ricercati, come nel caso del “Ghastly” di Emil Ferris del 1962 o come Anke Feuchtenberger, autrice berlinese (di quando Berlino era ancora nella DDR), mostro sacro della letteratura a fumetti tedesca e della quale sono esposte alcune tavole di “Die Hure H wirft de Vries” (ovvero la puttana H lancia il guanto di sfida), di carattere erotico, materiale piuttosto pericoloso in quel regime e in quegli anni. Strabiliante, soprattutto se visto in originale, il lavoro di Hideshi Hino, autore giapponese di origine cinese del quale sono esposte tavole del 1946 che ricordano l’orrore post-atomico che investì, in quegli anni funesti, il Giappone.
Restando nei dintorni degli anni Quaranta, ecco apparire, l’immagine fiera di un investigatore privato che sembra appartenere ad un mondo altro, col suo cappello di feltro, un paio di guanti e una evanescente mascherina da lupo sugli occhi: si chiama Denny Colt, ma è universalmente conosciuto col nome di battaglia di Spirit. Il suo autore, uno dei più grandi disegnatori di bd di tuti i tempo è un newyorchese che ama disegnare la New York operaia e popolare, quella dei “tenements”, Will Eisner. Ma le emozioni in questa mostra sembrano non finire mai, così dopo aver visto scorrere sotto i nostri occhi decine e decine di autori, ad intervalli regolari ci si imbatte nei grandi artisti della bande dessinée: la Parigi livida e piena di pioggia di Jacques Tardi, l’orrore dei campi di sterminio visto attraverso la matita di Art Spiegelman, i “Fantastic Four” partoriti da Jack Kirby e disegnati da Joe Sinnot, i mondi di Mœbius, le inimmaginabili città François Schuiten, le tavole di “Le Bibendum céleste” del sontuoso Nicolas de Crécy, il cupo e gotico “Golem” di Dino Battaglia, l’ineffabile Tin Tin di Hergé, le storie quasi ideogrammate di Chris Ware. Come fare a render conto in maniera esauriente di tutto ciò che è esposto a Beuabourg? Impossibile. Come se non bastasse, i curatori hanno pensato bene di far interagire le tavole dei maestri del fumetto con le opere della galleria d’arte moderna.
E allora eccola comparazione tra Magritte e Éric Lambé, quella tra Antonin Artaud e Edmond Baudoin, il confronto tra il pittore espressionista Christian Schad e la nostra grandissima Gabriella Giandelli, il gioco dei rimandi tra Francis Picabia e Anna Sommer, l’associazione tra Balthus e Blutch. In questi casi, si dice “spero di non essermi dimenticato nessuno”, in realtà non si tratta di dimenticanze, ma dell’impossibilità pratica di trattare tutta la mole di opere, bozzetti, copertine, tavole esposte in così poco spazio. Dagli anni Ottanta quando visitai per la prima volta il Centre Pompidou, poco dopo la sua nascita, posso ben dire che Beaubourg non delude mai. Da qui sono passate tutte le più grandi mostre degli ultimi venti anni del secolo scorso, del primo quarto di secolo del nuovo millennio e questa sulla “bande dessinée” pur che con le osservazioni iniziali, non fa che confermarlo.