Teatro Coccia: vestiti di scena o scena sui vestiti? Baroni: «Sono abiti da lavoro funzionali allo spettacolo»

Fa discutere ancora la mostra, in programma per dicembre, di abiti da sera indossati dalla direttrice del Coccia. Dibattito acceso in consiglio comunale e in commissione su iniziativa della consigliera Paladini

Se l’abito non fa il monaco, al Teatro Coccia sembra invece che il vestito faccia la direttrice. Al centro delle polemiche, infatti, c’è la scelta di Corinne Baroni di sfoggiare abiti da sera fatti su misura per lei dalla stilista Kloida «in una nuova collaborazione con l’artista e stilista – si legge in due comunicati stampa del Teatro di novembre e gennaio -. Abiti unici per il direttore Baroni, ispirati alle suggestioni musicali e visive. Questi saranno poi oggetto di una mostra nel foyer al termine della stagione 2025». Tuttavia, più che stupire il pubblico, l’iniziativa ha acceso un dibattito che ha riempito consiglio comunale e commissione cultura.

È stata la consigliera Sara Paladini a presentare un’interrogazione per chiarire la natura della collaborazione: «Chi l’ha decisa e quando? Come è stata selezionata quella stilista? Chi paga? È opportuna l’esposizione degli abiti della direttrice, visto che non si parla di abiti di scena?» dopo aver ricordato che la stilista era stata invitata a intervenire durante la conferenza stampa per la nuova stagione e che l’iniziativa è stata ampiamente pubblicizzata sulla pagina Facebook della Fondazione Teatro Coccia. Domande lecite, a cui ha risposto l’assessore alla Cultura Luca Piantanida, leggendo una lettera della stessa Baroni: «Gli abiti sono ispirati ai personaggi delle opere, vengono restituiti alla stilista e non comportano alcun onere per il teatro. Si tratta di cinque abiti con quattro taglie di tolleranza saranno indossati da cinque cantanti dell’Accademia AMO durante il concerto dell’11 novembre. Questa attività non comporta alcun onere per il Teatro perché Kloia ha fornito i pezzi gratuitamente che a dicembre saranno esposti nel foyer vicino all’albero di Natale».

La spiegazione non ha convinto Paladini, che ha ribattuto duramente: «Non mi sono mai sentita così offesa e insoddisfatta. Il problema non è se questa iniziativa è stata pagata o meno, ma che un bene pubblico venga trattato come privato. Quando si ha un ruolo pubblico non si va sui social a fare l’influencer: non vorrei, a questo punto, che il narcisismo prendesse il sopravvento sul ruolo».

Il dibattito è proseguito nella commissione del pomeriggio, tra giustificazioni e battute al vetriolo, con Baroni che ha difeso la sua scelta: «Sono abiti da lavoro – ha ripetuto più volte -. Quelli che indosso sono abiti di scena che non mi appartengono e che vengono restituiti alla stilista. Sono funzionali allo spettacolo, certo non li indosserei per uscire a cena».

L’ha interrotta Paladini: «Ma lei non è né una cantante, né un’attrice, non fa parte dello spettacolo». «Invece sì – ha ribattuto Baroni – io sono funzionale allo spettacolo e anche gli abiti sono funzionali allo spettacolo che inizia sulla porta del foyer dove io accolgo il pubblico con un abito da lavoro in qualità di funzionario del Teatro. Già lo scorso anno il costumista Artemio Cabassi aveva confezionato per me un abito» rivendicando la scelta personale della stilista: «Non esiste alcun accordo formale, l’ho scelta a mia discrezione perché si è proposta di fornire i vestiti a titolo gratuito e perché io ho la fisicità per indossarli. D’altronde noi non siamo il Teatro Alla Scala e Kloida non è Armani. Avevamo chiesto anche a Valentino, ma lui non è stato così generoso». La direttrice ha poi aggiunto che con la stessa modalità «ho scelto il grafico che ci fornisce le locandine delle opere».

A cercare di riportare la discussione su binari più istituzionali ci ha pensato il consigliere Nicola Fonzo: «Lei non può scegliere sulla base della sua discrezionalità solo perché un professionista lo fa gratis. Come fa a essere sicura che questa stilista fosse l’unica a fornire gli abiti gratuitamente? Lei non ha mai fatto un avviso di evidenza pubblica. Sarebbe stato sufficiente questo per sgomberare il campo. Nella pubblica amministrazione funziona così».

Il presidente della Fondazione Teatro Coccia, Fabio Ravanelli, ha chiuso con una nota diplomatica: «Sono assolutamente certo della buona fede della direttrice, ma ringrazio il consigliere Fonzo per il suggerimento. Il pubblico non è privato e questa situazione ci insegna a essere più precisi nei rapporti di collaborazione».

(In foto Baroni con Piantanida a Ravanelli)

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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Teatro Coccia: vestiti di scena o scena sui vestiti? Baroni: «Sono abiti da lavoro funzionali allo spettacolo»

Fa discutere ancora la mostra, in programma per dicembre, di abiti da sera indossati dalla direttrice del Coccia. Dibattito acceso in consiglio comunale e in commissione su iniziativa della consigliera Paladini

Se l’abito non fa il monaco, al Teatro Coccia sembra invece che il vestito faccia la direttrice. Al centro delle polemiche, infatti, c’è la scelta di Corinne Baroni di sfoggiare abiti da sera fatti su misura per lei dalla stilista Kloida «in una nuova collaborazione con l’artista e stilista – si legge in due comunicati stampa del Teatro di novembre e gennaio -. Abiti unici per il direttore Baroni, ispirati alle suggestioni musicali e visive. Questi saranno poi oggetto di una mostra nel foyer al termine della stagione 2025». Tuttavia, più che stupire il pubblico, l’iniziativa ha acceso un dibattito che ha riempito consiglio comunale e commissione cultura.

È stata la consigliera Sara Paladini a presentare un’interrogazione per chiarire la natura della collaborazione: «Chi l’ha decisa e quando? Come è stata selezionata quella stilista? Chi paga? È opportuna l’esposizione degli abiti della direttrice, visto che non si parla di abiti di scena?» dopo aver ricordato che la stilista era stata invitata a intervenire durante la conferenza stampa per la nuova stagione e che l’iniziativa è stata ampiamente pubblicizzata sulla pagina Facebook della Fondazione Teatro Coccia. Domande lecite, a cui ha risposto l’assessore alla Cultura Luca Piantanida, leggendo una lettera della stessa Baroni: «Gli abiti sono ispirati ai personaggi delle opere, vengono restituiti alla stilista e non comportano alcun onere per il teatro. Si tratta di cinque abiti con quattro taglie di tolleranza saranno indossati da cinque cantanti dell’Accademia AMO durante il concerto dell’11 novembre. Questa attività non comporta alcun onere per il Teatro perché Kloia ha fornito i pezzi gratuitamente che a dicembre saranno esposti nel foyer vicino all’albero di Natale».

La spiegazione non ha convinto Paladini, che ha ribattuto duramente: «Non mi sono mai sentita così offesa e insoddisfatta. Il problema non è se questa iniziativa è stata pagata o meno, ma che un bene pubblico venga trattato come privato. Quando si ha un ruolo pubblico non si va sui social a fare l’influencer: non vorrei, a questo punto, che il narcisismo prendesse il sopravvento sul ruolo».

Il dibattito è proseguito nella commissione del pomeriggio, tra giustificazioni e battute al vetriolo, con Baroni che ha difeso la sua scelta: «Sono abiti da lavoro – ha ripetuto più volte -. Quelli che indosso sono abiti di scena che non mi appartengono e che vengono restituiti alla stilista. Sono funzionali allo spettacolo, certo non li indosserei per uscire a cena».

L’ha interrotta Paladini: «Ma lei non è né una cantante, né un’attrice, non fa parte dello spettacolo». «Invece sì – ha ribattuto Baroni – io sono funzionale allo spettacolo e anche gli abiti sono funzionali allo spettacolo che inizia sulla porta del foyer dove io accolgo il pubblico con un abito da lavoro in qualità di funzionario del Teatro. Già lo scorso anno il costumista Artemio Cabassi aveva confezionato per me un abito» rivendicando la scelta personale della stilista: «Non esiste alcun accordo formale, l’ho scelta a mia discrezione perché si è proposta di fornire i vestiti a titolo gratuito e perché io ho la fisicità per indossarli. D’altronde noi non siamo il Teatro Alla Scala e Kloida non è Armani. Avevamo chiesto anche a Valentino, ma lui non è stato così generoso». La direttrice ha poi aggiunto che con la stessa modalità «ho scelto il grafico che ci fornisce le locandine delle opere».

A cercare di riportare la discussione su binari più istituzionali ci ha pensato il consigliere Nicola Fonzo: «Lei non può scegliere sulla base della sua discrezionalità solo perché un professionista lo fa gratis. Come fa a essere sicura che questa stilista fosse l’unica a fornire gli abiti gratuitamente? Lei non ha mai fatto un avviso di evidenza pubblica. Sarebbe stato sufficiente questo per sgomberare il campo. Nella pubblica amministrazione funziona così».

Il presidente della Fondazione Teatro Coccia, Fabio Ravanelli, ha chiuso con una nota diplomatica: «Sono assolutamente certo della buona fede della direttrice, ma ringrazio il consigliere Fonzo per il suggerimento. Il pubblico non è privato e questa situazione ci insegna a essere più precisi nei rapporti di collaborazione».

(In foto Baroni con Piantanida a Ravanelli)

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Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore