A tutti coloro che hanno provato tenerezza e un senso di impotenza di fronte alla fragilità dei propri genitori, Simone Cristicchi dal palco di Sanremo ha dedicato una canzone sul ciclo della vita, più che altro una poesia che l’arrangiamento trasforma in canzone, intercettando la nostra commozione.

Se la poesia può diventare una forma di cura, quei versi ci fanno sperare che l’ultima carezza e l’ultimo sorriso siano il segno che i nostri cari ancora ci riconoscono.

Nel 1975 il poeta Giorgio Caproni ormai alle soglie della vecchiaia, fragile e ripiegato sui suoi anni, ma ancora impegnato nell’atto creativo della scrittura, chiedeva al proprio figlio non solo di tenere vivo il suo ricordo, ma di essere sostenuto, accompagnato e curato.

A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre

Portami con te lontano
… lontano…
nel tuo futuro.

Diventa mio padre, portami
per la mano
dov’è diretto sicuro
il tuo passo d’Irlanda
l’arpa del tuo profilo
biondo, alto
già più di me che inclino
già verso l’erba.
Serba
di me questo ricordo vano
che scrivo mentre la mano
mi trema.
Rema
con me negli occhi al largo
del tuo futuro, mentre odo
(non odio) abbrunato il sordo
battito del tamburo
che rulla – come il mio cuore: in nome
di nulla – la Dedizione.

Giorgio Caproni, Il muro della terra (1975)

Condividi:

Facebook
WhatsApp
Telegram
Email
Twitter

© 2025 La Voce di Novara - Riproduzione Riservata
Iscrizione al registro della stampa presso il Tribunale di Novara

Picture of Claudia Cominoli

Claudia Cominoli

Condividi l'articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

SEGUICI SUI SOCIAL

Sezioni

Sorridimi ancora

A tutti coloro che hanno provato tenerezza e un senso di impotenza di fronte alla fragilità dei propri genitori, Simone Cristicchi dal palco di Sanremo ha dedicato una canzone sul ciclo della vita, più che altro una poesia che l’arrangiamento trasforma in canzone, intercettando la nostra commozione.

Se la poesia può diventare una forma di cura, quei versi ci fanno sperare che l’ultima carezza e l’ultimo sorriso siano il segno che i nostri cari ancora ci riconoscono.

Nel 1975 il poeta Giorgio Caproni ormai alle soglie della vecchiaia, fragile e ripiegato sui suoi anni, ma ancora impegnato nell’atto creativo della scrittura, chiedeva al proprio figlio non solo di tenere vivo il suo ricordo, ma di essere sostenuto, accompagnato e curato.

A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre

Portami con te lontano
… lontano…
nel tuo futuro.

Diventa mio padre, portami
per la mano
dov’è diretto sicuro
il tuo passo d’Irlanda
l’arpa del tuo profilo
biondo, alto
già più di me che inclino
già verso l’erba.
Serba
di me questo ricordo vano
che scrivo mentre la mano
mi trema.
Rema
con me negli occhi al largo
del tuo futuro, mentre odo
(non odio) abbrunato il sordo
battito del tamburo
che rulla – come il mio cuore: in nome
di nulla – la Dedizione.

Giorgio Caproni, Il muro della terra (1975)

© 2025 La Voce di Novara
Riproduzione Riservata