«Se vogliamo darle dei nomi, l’Europa è la Bibbia e l’antichità. L’Europa è Eschilo, Sofocle, Euripide, è Fidia, è Platone e Aristotele e Plotino, è Virgilio e Omero, è Dante, Shakespeare, Goethe, è Cervantes e Racine e Molière, è Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Rembrandt, Velàzquez, è Bach, Mozart, Beethoven, è Agostino, Anselmo, Tommaso, Niccolò Cusano, Spinoza, Pascal, Kant, Hegel, è Cicerone, Erasmo, Voltaire. L’Europa è nei duomi e nei palazzi e nelle rovine, è Gerusalemme, Atene, Roma, Parigi, Oxford, Ginevra, Weimar. L’Europa è la democrazia di Atene, della Roma repubblicana, degli svizzeri e degli olandesi, degli anglosassoni».

Così nel primo dei Rencontres Internationales tenutosi a Ginevra nel settembre del 1946, Karl Jaspers definiva l’Europa, la sua identità e il suo patrimonio spirituale. Circondati dalle rovine di una guerra spaventosa e devastante e con la prospettiva di una imminente divisione del continente secondo le nuove geometrie della potenza mondiale, alcuni tra i più prestigiosi scrittori e filosofi europei legati all’eredità del pensiero liberale, ma consapevoli della necessità di innervarlo attraverso l’inclusione delle libertà democratiche, tra cui Julien Benda, George Bernanos, Georg Lukacs e, appunto, Karl Jaspers, si confrontavano intorno alla natura dello spirito europeo e ai valori che lo ispirano, grazie all’iniziativa di un gruppo di intellettuali ginevrini raccolti intorno a Denis de Rougemont e a Jean Starobinski, convinti che prima di riuscire a immaginare qualsiasi scenario praticabile fosse indispensabile ricostruire un orizzonte di senso in cui collocare quanto avvenuto.

Tra tutte, la lettura di Jaspers, uno dei pochi tedeschi ad aver attraversato gli anni del nazismo senza piegarsi, è forse la più lucida e penetrante, di certo la più emozionante. Tuttavia Jaspers era perfettamente consapevole che l’«osservazione storica» e la «contemplazione estetica» di quanto è stato non possono sostenere da sole un’identità europea in grado di reggere le sfide dei tempi nuovi, se non riescono a entrare in contatto con la realtà del presente, suggerendo che uno sguardo perennemente rivolto all’indietro finisce per generare irrilevanza.

Ma, nel contempo, chiarisce che soltanto l’assunzione consapevole del percorso attraverso il quale si è formato il nostro presente permette di dare forma ad azioni adeguate. Dunque, non possiamo ignorare quanto chiusura ed esclusione e convinzione della propria superiorità possono innescare processi che invertono fino alla negazione il patrimonio rievocato da Jaspers in modo così suggestivo. E non possiamo sottrarci alla sfida di costruire le condizioni per riannodare i fili di un cammino che già una volta è stato violentemente interrotto.

Il brano di Karl Jasper è tratto dalla conferenza Vom europäischen Geist, pronunciata a Ginevra nel settembre 1946. Il testo della conferenza è stato appena ristampato per i tipi della Morcelliana di Brescia con il titolo Lo spirito europeo.

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Lo spirito europeo

«Se vogliamo darle dei nomi, l’Europa è la Bibbia e l’antichità. L’Europa è Eschilo, Sofocle, Euripide, è Fidia, è Platone e Aristotele e Plotino, è Virgilio e Omero, è Dante, Shakespeare, Goethe, è Cervantes e Racine e Molière, è Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Rembrandt, Velàzquez, è Bach, Mozart, Beethoven, è Agostino, Anselmo, Tommaso, Niccolò Cusano, Spinoza, Pascal, Kant, Hegel, è Cicerone, Erasmo, Voltaire. L’Europa è nei duomi e nei palazzi e nelle rovine, è Gerusalemme, Atene, Roma, Parigi, Oxford, Ginevra, Weimar. L’Europa è la democrazia di Atene, della Roma repubblicana, degli svizzeri e degli olandesi, degli anglosassoni».

Così nel primo dei Rencontres Internationales tenutosi a Ginevra nel settembre del 1946, Karl Jaspers definiva l’Europa, la sua identità e il suo patrimonio spirituale. Circondati dalle rovine di una guerra spaventosa e devastante e con la prospettiva di una imminente divisione del continente secondo le nuove geometrie della potenza mondiale, alcuni tra i più prestigiosi scrittori e filosofi europei legati all’eredità del pensiero liberale, ma consapevoli della necessità di innervarlo attraverso l’inclusione delle libertà democratiche, tra cui Julien Benda, George Bernanos, Georg Lukacs e, appunto, Karl Jaspers, si confrontavano intorno alla natura dello spirito europeo e ai valori che lo ispirano, grazie all’iniziativa di un gruppo di intellettuali ginevrini raccolti intorno a Denis de Rougemont e a Jean Starobinski, convinti che prima di riuscire a immaginare qualsiasi scenario praticabile fosse indispensabile ricostruire un orizzonte di senso in cui collocare quanto avvenuto.

Tra tutte, la lettura di Jaspers, uno dei pochi tedeschi ad aver attraversato gli anni del nazismo senza piegarsi, è forse la più lucida e penetrante, di certo la più emozionante. Tuttavia Jaspers era perfettamente consapevole che l’«osservazione storica» e la «contemplazione estetica» di quanto è stato non possono sostenere da sole un’identità europea in grado di reggere le sfide dei tempi nuovi, se non riescono a entrare in contatto con la realtà del presente, suggerendo che uno sguardo perennemente rivolto all’indietro finisce per generare irrilevanza.

Ma, nel contempo, chiarisce che soltanto l’assunzione consapevole del percorso attraverso il quale si è formato il nostro presente permette di dare forma ad azioni adeguate. Dunque, non possiamo ignorare quanto chiusura ed esclusione e convinzione della propria superiorità possono innescare processi che invertono fino alla negazione il patrimonio rievocato da Jaspers in modo così suggestivo. E non possiamo sottrarci alla sfida di costruire le condizioni per riannodare i fili di un cammino che già una volta è stato violentemente interrotto.

Il brano di Karl Jasper è tratto dalla conferenza Vom europäischen Geist, pronunciata a Ginevra nel settembre 1946. Il testo della conferenza è stato appena ristampato per i tipi della Morcelliana di Brescia con il titolo Lo spirito europeo.

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