Quel prato a Les Roussiles

Il 16 giugno del 1944 un camion tedesco carico di partigiani francesi si ferma sul bordo di un campo in località Les Roussiles a Saint-Didiers-de-Formans, sulla strada che da Trévoux va a Bourg-en-Bresse. Sono le nove di sera. Gli uomini vengono fatti scendere e avviati quattro per volta verso un prato cinto da siepi, dove vengono fucilati. Il primo a cadere è Marc Bloch. Era stato catturato dalla Gestapo tre mesi prima, l’8 marzo, a Lione, la città dove in clandestinità rappresentava le formazioni dei Franc-Tireur nel direttivo regionale dei movimenti uniti della Resistenza. Barbaramente torturato con il supplizio del bagno ghiacciato, era stato imprigionato nel forte di Montluc, ormai ridotto in coma, con un polso spezzato e le costole sfondate.

Marc Bloch, probabilmente il più grande storico del novecento, l’autore dei Rois thaumaturges e della Société féodale, il fondatore insieme a Lucien Febvre della rivista delle “Annales”, colui che aveva aperto strade impensate alla ricerca e ricostruito in grandi affreschi le radici comuni della civiltà europea, dedicando pagine tuttora insuperata sullo sviluppo della stessa società tedesca.

Ma quella sera d’estate, nelle «grandi praterie del Val de Saône» delle quali – come scrive proprio Febvre – era facile immaginarsi «l’odore che sale […] dai prati in fiore» la brutalità della storia si era imposta in tutta la sua violenza, senza alcun riguardo per le ragioni della comune umanità e senza arretrare di fronte all’ingegno e al valore, lacerando legami che pure storia e cultura avevano intessuto per secoli.

Quando ci chiediamo, magari con qualche insofferenza, perché mai dovremmo impegnarci per far progredire il progetto europeo, non dovremmo mai dimenticarci il campo di Les Roussiles. L’Europa nasce da lì, per cercare di dare una risposta alla tragedia che ha distrutto una generazione e rischiato di porre fine a una civiltà che molto aveva dato al progresso dell’umanità. E che ha ancora molto da dare.

Il passo di Lucien Fevbre è contenuto nella presentazione dell’Apologie pour l’histoire ou métier d’historien, in “Cahiers des Annales”, Armand Colin, Paris 1949. Cito nella traduzione di Carlo Pischedda, Apologia della storia o mestiere di storico, Einaudi, Torino 1950, p. 11.

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Il 16 giugno del 1944 un camion tedesco carico di partigiani francesi si ferma sul bordo di un campo in località Les Roussiles a Saint-Didiers-de-Formans, sulla strada che da Trévoux va a Bourg-en-Bresse. Sono le nove di sera. Gli uomini vengono fatti scendere e avviati quattro per volta verso un prato cinto da siepi, dove vengono fucilati. Il primo a cadere è Marc Bloch. Era stato catturato dalla Gestapo tre mesi prima, l’8 marzo, a Lione, la città dove in clandestinità rappresentava le formazioni dei Franc-Tireur nel direttivo regionale dei movimenti uniti della Resistenza. Barbaramente torturato con il supplizio del bagno ghiacciato, era stato imprigionato nel forte di Montluc, ormai ridotto in coma, con un polso spezzato e le costole sfondate. Marc Bloch, probabilmente il più grande storico del novecento, l’autore dei Rois thaumaturges e della Société féodale, il fondatore insieme a Lucien Febvre della rivista delle “Annales”, colui che aveva aperto strade impensate alla ricerca e ricostruito in grandi affreschi le radici comuni della civiltà europea, dedicando pagine tuttora insuperata sullo sviluppo della stessa società tedesca. Ma quella sera d’estate, nelle «grandi praterie del Val de Saône» delle quali – come scrive proprio Febvre – era facile immaginarsi «l’odore che sale […] dai prati in fiore» la brutalità della storia si era imposta in tutta la sua violenza, senza alcun riguardo per le ragioni della comune umanità e senza arretrare di fronte all’ingegno e al valore, lacerando legami che pure storia e cultura avevano intessuto per secoli. Quando ci chiediamo, magari con qualche insofferenza, perché mai dovremmo impegnarci per far progredire il progetto europeo, non dovremmo mai dimenticarci il campo di Les Roussiles. L’Europa nasce da lì, per cercare di dare una risposta alla tragedia che ha distrutto una generazione e rischiato di porre fine a una civiltà che molto aveva dato al progresso dell’umanità. E che ha ancora molto da dare.
Il passo di Lucien Fevbre è contenuto nella presentazione dell’Apologie pour l’histoire ou métier d’historien, in “Cahiers des Annales”, Armand Colin, Paris 1949. Cito nella traduzione di Carlo Pischedda, Apologia della storia o mestiere di storico, Einaudi, Torino 1950, p. 11.

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