Le uova affascinavano gli antichi: per la loro forma strana, per essere l’inizio di una vita, per essere un piccolo mondo… Date un’occhiata a questa tavola di Piero della Francesca: cosa pende sulla testa della Vergine? Ab ovo…

Mangiate abbondantemente per secoli, da poveri, ricchi e borghesi, oggi in cucina sono un poco neglette. E questo da anni, complice forse anche una comunicazione igienica e nutrizionale confusa e contraddittoria. Eppure, Gabriele D’Annunzio le adorava, sotto forma di frittata ed ha vissuto una vita piena e lunga. Boh!? Nei ricettari classici, Ottocento e primo Novecento, come l’Artusi, le ricette sono tantissime; nei ristoranti moderni però non appaiono più, se non in abbinamento, magari con asparagi o tartufo, o se figlie di una storia originale, ricercata o preziosa, come le uova di certi allevatori. Insomma, danno l’idea di essere marginali nel dibattito gastronomico-culturale della contemporaneità.

Ritrovarle protagoniste di una manifestazione folcloristica piemontese, mi ha dunque incuriosito e due o tre anni fa (non ricordo, il tempo in pandemia si accorcia e si allunga seguendo gli umori) ho ben accettato l’invito di Lorenzo Buratto, allora presidente dell’Unpli Cuneo, a seguire la conferenza stampa della Diciottesima Edizione del Cantè j’Euv del Roero; edizione che quell’anno si è svolta a Ceresole d’Alba. Una bella Conferenza fatta a Guarene, in un vecchio granaio della Fondazione Rebaudengo, con canti, presentazioni, riflessioni e… ricco buffet finale.

Ma cosa era ed è (sia pur sospeso) questo ”cantare le uova” e come si svolgeva e si svolgerà in futuro? Per rispondere faccio riferimento in primo luogo alla cartella stampa che mi diedero e alle mie, poche, conoscenze in merito. Leggiamo l’inizio del Comunicato, molto esaustivo: “Le piccole comunità del basso Piemonte (la zona che oggi conosciamo come Langhe, Monferrato e Roero) hanno sviluppato nel corso dei secoli una miriade di tradizioni variamente legate al calendario delle festività cristiane… d’inverno erano le veglie nelle stalla (le vija) a riunire intere famiglie… stringendole intorno a racconti e canti dialettali, di primavera era il cantè magg, o la festa dei coscritti, quindi al sorgere dell’estate la notte di san Giovanni con i suoi misteriosi falò in cima alle colline, e poi le sagre patronali, le feste della vendemmia e via via fino al nuovo sopraggiungere dell’inverno. Ma c’era tra tutte una tradizione particolare, forse la più sentita in certi paesi, certo la più strana, la più suggestiva ed emozionante: la questua delle uova, in dialetto Cantè j’euv”.

E cosa succedeva allora? “I primi tepori della bella stagione inducevano gruppi di giovanotti a prendere la via delle cascine, nelle notti di Quaresima che precedono la Pasqua. Muovendosi rigorosamente a piedi o, al più, su carri trainati da bestie, i giovani giungevano al limitar delle aie e lì cominciavano a cantare, nscosti dalla notte e avvisati solo dal cane che per lo più si univa stonatamente al coro. La canzone era una specie di filastrocca in dialetto piemontese: “Suma partì da nostra cà, ca iera n’prima seira, per venive a salutè, devè la bun-ha seira…”. Questo l’inizio. Poi seguivano altre strofe, molte altre strofe, in cui si invitava il padrone di casa ad uscire a consegnare un po’ di uova… ad uno strano figuro, il fratucìn (che non era poi che un ragazzo vestito da frate)…”. La consegna delle uova poteva finire lì, oppure il padrone apriva le porte di casa e si beveva e si mangiava e si ballava al suono degli strumenti che i giovani portavano con sé. La Questua diventava così momento di condivisione, di rafforzamento dei legami di comunità, di conoscenza, di fidanzamenti, di festa dopo il lungo inverno, di stare insieme…

E le uova raccolte? Diversi e possibili gli usi: o si faceva una frittata a Pasquetta per tutto il paese; oppure si vedevano per pagare la festa dei coscritti.

Una bella tradizione, dunque, che ha però rischiato di scomparire: “Trent’anni fa le uova non si cantavano praticamente più. Scomparse. Sembrava persino che non ci fosse mai stata una tradizione simile. Poi un giovanottone di Magliano Alfieri, certo Antonio Adriano, decise nel 1965 di riprendere in mano la tradizione. Provò a riproporla, sia nel suo paese sia nei comuni dei dintorni. E fu immediatamente un successo. Contemporaneamente, in Langa, precisamente nel piccolo borgo di Prunetto, il gruppo musicale dei Brav’om guidato dal mitico “Brun” faceva la stessa cosa, rilanciando il cantè j’euv anche nei suoi paesi… da allora la tradizione non si è mai più persa”. Ed oggi vive ancora in tanti piccoli Cantè portati avanti da gruppi locali e da associazioni come le Pro Loco del Roero che da 18 anni fanno questa festa itinerante, ogni anno in un paese diverso: musica, festa di notte, gastronomia, balli… Il tutto per celebrare la primavera con l’uovo: inizio e principio. Ab ovo…

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Riccardo Milan

Riccardo Milan è professore, giornalista e blogger. Lavora alla scuola alberghiera di Stresa ed è pubblicista dal 1999. Da meno, è blogger con Allappante.it. Si è occupato per anni di cultura materiale, studente, scrittore e docente: vino, birra, gastronomia, cucina per lo più tipica, storia delle tradizioni. Sommelier ed idrosommelier per diletto. Vive sul Lago d’Orta.

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Cantare le Uova

Le uova affascinavano gli antichi: per la loro forma strana, per essere l’inizio di una vita, per essere un piccolo mondo… Date un’occhiata a questa tavola di Piero della Francesca: cosa pende sulla testa della Vergine? Ab ovo…

Mangiate abbondantemente per secoli, da poveri, ricchi e borghesi, oggi in cucina sono un poco neglette. E questo da anni, complice forse anche una comunicazione igienica e nutrizionale confusa e contraddittoria. Eppure, Gabriele D’Annunzio le adorava, sotto forma di frittata ed ha vissuto una vita piena e lunga. Boh!? Nei ricettari classici, Ottocento e primo Novecento, come l’Artusi, le ricette sono tantissime; nei ristoranti moderni però non appaiono più, se non in abbinamento, magari con asparagi o tartufo, o se figlie di una storia originale, ricercata o preziosa, come le uova di certi allevatori. Insomma, danno l’idea di essere marginali nel dibattito gastronomico-culturale della contemporaneità.

Ritrovarle protagoniste di una manifestazione folcloristica piemontese, mi ha dunque incuriosito e due o tre anni fa (non ricordo, il tempo in pandemia si accorcia e si allunga seguendo gli umori) ho ben accettato l’invito di Lorenzo Buratto, allora presidente dell’Unpli Cuneo, a seguire la conferenza stampa della Diciottesima Edizione del Cantè j’Euv del Roero; edizione che quell’anno si è svolta a Ceresole d’Alba. Una bella Conferenza fatta a Guarene, in un vecchio granaio della Fondazione Rebaudengo, con canti, presentazioni, riflessioni e… ricco buffet finale.

Ma cosa era ed è (sia pur sospeso) questo ”cantare le uova” e come si svolgeva e si svolgerà in futuro? Per rispondere faccio riferimento in primo luogo alla cartella stampa che mi diedero e alle mie, poche, conoscenze in merito. Leggiamo l’inizio del Comunicato, molto esaustivo: “Le piccole comunità del basso Piemonte (la zona che oggi conosciamo come Langhe, Monferrato e Roero) hanno sviluppato nel corso dei secoli una miriade di tradizioni variamente legate al calendario delle festività cristiane… d’inverno erano le veglie nelle stalla (le vija) a riunire intere famiglie… stringendole intorno a racconti e canti dialettali, di primavera era il cantè magg, o la festa dei coscritti, quindi al sorgere dell’estate la notte di san Giovanni con i suoi misteriosi falò in cima alle colline, e poi le sagre patronali, le feste della vendemmia e via via fino al nuovo sopraggiungere dell’inverno. Ma c’era tra tutte una tradizione particolare, forse la più sentita in certi paesi, certo la più strana, la più suggestiva ed emozionante: la questua delle uova, in dialetto Cantè j’euv”.

E cosa succedeva allora? “I primi tepori della bella stagione inducevano gruppi di giovanotti a prendere la via delle cascine, nelle notti di Quaresima che precedono la Pasqua. Muovendosi rigorosamente a piedi o, al più, su carri trainati da bestie, i giovani giungevano al limitar delle aie e lì cominciavano a cantare, nscosti dalla notte e avvisati solo dal cane che per lo più si univa stonatamente al coro. La canzone era una specie di filastrocca in dialetto piemontese: “Suma partì da nostra cà, ca iera n’prima seira, per venive a salutè, devè la bun-ha seira…”. Questo l’inizio. Poi seguivano altre strofe, molte altre strofe, in cui si invitava il padrone di casa ad uscire a consegnare un po’ di uova… ad uno strano figuro, il fratucìn (che non era poi che un ragazzo vestito da frate)…”. La consegna delle uova poteva finire lì, oppure il padrone apriva le porte di casa e si beveva e si mangiava e si ballava al suono degli strumenti che i giovani portavano con sé. La Questua diventava così momento di condivisione, di rafforzamento dei legami di comunità, di conoscenza, di fidanzamenti, di festa dopo il lungo inverno, di stare insieme…

E le uova raccolte? Diversi e possibili gli usi: o si faceva una frittata a Pasquetta per tutto il paese; oppure si vedevano per pagare la festa dei coscritti.

Una bella tradizione, dunque, che ha però rischiato di scomparire: “Trent’anni fa le uova non si cantavano praticamente più. Scomparse. Sembrava persino che non ci fosse mai stata una tradizione simile. Poi un giovanottone di Magliano Alfieri, certo Antonio Adriano, decise nel 1965 di riprendere in mano la tradizione. Provò a riproporla, sia nel suo paese sia nei comuni dei dintorni. E fu immediatamente un successo. Contemporaneamente, in Langa, precisamente nel piccolo borgo di Prunetto, il gruppo musicale dei Brav’om guidato dal mitico “Brun” faceva la stessa cosa, rilanciando il cantè j’euv anche nei suoi paesi… da allora la tradizione non si è mai più persa”. Ed oggi vive ancora in tanti piccoli Cantè portati avanti da gruppi locali e da associazioni come le Pro Loco del Roero che da 18 anni fanno questa festa itinerante, ogni anno in un paese diverso: musica, festa di notte, gastronomia, balli… Il tutto per celebrare la primavera con l’uovo: inizio e principio. Ab ovo…

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Riccardo Milan

Riccardo Milan è professore, giornalista e blogger. Lavora alla scuola alberghiera di Stresa ed è pubblicista dal 1999. Da meno, è blogger con Allappante.it. Si è occupato per anni di cultura materiale, studente, scrittore e docente: vino, birra, gastronomia, cucina per lo più tipica, storia delle tradizioni. Sommelier ed idrosommelier per diletto. Vive sul Lago d’Orta.