Leggo con piacere un articolo de “Il Gambero Rosso” (a cui sono abbonato: fatelo anche voi, merita) in cui si critica l’abbondanza delle do (doc) del vino. L’intervista a Francesco Liantonio (che conosco e saluto) presidente di Valoreitalia in alcuni passaggi è chiara: “Le prime 50 denominazioni coprono il 95% del valore economico complessivo. Le ultime 100 appena lo 0,47%. Ciò significa che solo poche decine di denominazioni hanno un ruolo da protagoniste, mentre un centinaio sono solo spettatori. E ciò dovrebbe suggerire di riconsiderare le regole di base del sistema, apportando quelle correzioni che oggi appaiono sempre più necessarie”. Io concordo. Mi basta pensare alla doc e docg barbera che ci sono in Piemonte, o ai dolcetti, per non capirci più nulla. Ed io che sono un appassionato. E il consumatore? Non capisce e non compra, direi. A volte sembra che il sistema complicato delle doc sia un assist alle associazioni di sommeleria che fanno del nozionismo merce da vendere a caro prezzo?