Andare a vedere un cartone animato giapponese e poi mangiare qualcosa di altrettanto nipponico è stato per me esemplificativo di cosa sia il soft power che alcuni Paesi esercitano su altri. Una volta, penso, erano solo gli Stati Uniti ad esercitare questo “potere morbido” che porta con sé considerazione, positiva valutazione generale, attitudine a comprare e a consumare prodotti, imitazione… Ora in Italia ad esercitare questo ci sono anche la Corea, pezzetti di altri paesi, ed ovviamente il Giappone.
Il cartone animato era una bella storia ricca di fantasmi, misticismo, ritorni nel tempo… come nei romanzi di Murakami (a proposito di soft power); per il resto era pieno di luoghi comuni sul Giappone: i treni veloci, le studentesse in divisa e gonnellina, i manager in cravatta e giacca, distributori automatici anche nei luoghi più remoti…; e un’idea dell’amore che mi ricorda sia la letteratura medievale italiana sia il dialogo tra scienziati nel film “Interstellar” (“Forse vuol dire qualcosa di più, qualcosa che non possiamo ancora afferrare. Magari è una testimonianza, un… un artefatto di un’altra dimensione che non possiamo percepire consciamente. Io sono dall’altra parte dell’universo attratta da qualcuno che non vedo da un decennio, una persona che forse è morta. L’amore è l’unica cosa che riusciamo a percepire che trascenda dalle dimensioni di tempo e spazio. Forse di questo dovremmo fidarci, anche se non riusciamo a capirlo ancora”). Dialogo che calza molto anche per il cartone “Your Name”.
Finita la proiezione, abbiamo mangiato nella sala attigua dove alcuni giovani italiani mangiavamo manovrando con sapienza ed abitudine i bastoncini, fuori c’era un ristorante cino-giappo pieno, i dolci giapponesi erano stati comprati (a caro prezzo) nel supermercato più lussuoso della zona (che li vende, appunto, sempre). Al telefono mio figlio commentava con me il film, visto e rivisto… insomma un venerdì sera in cui il soft power giapponese mi è apparso nella sua “morbida forza”.