La trattoria futurista

Secondo Street View di Google al civico 2 di via Vanchiglia a Torino c’è un autorimessa, triste epilogo per il luogo che è stato la sede dell’unico ristorante futurista d’Italia: la Taverna del Santopalato. Un numero più in là, però, c’è un misterioso Clash Burger ed un altro civico ancora in là appare un ristorante etnico: il Warung Java Indonesian Food. E ancora a fianco un Bistrot & Beverage Panta Rei. Chiude la via il ristorante Locanda dell’Ultima Casa. Ma fermiamoci qui. Visto così, il luogo del più creativo ristorante degli anni Trenta appare disseminato di emuli, diversi, con diverse storie ma attecchiti nello stesso luogo.

Il luogo è quello in cui nel 1931 fu inaugurata con grande battage pubblicitario la Taverna che avrebbe trasformato Torino “nella culla di un altro Risorgimento italiano, quello gastronomico”. Un’attesa alimentata ad arte dai futuristi che erano bravi in questo. Secondo Fillia, al secolo Luigi Colombo, pittore e poeta, la Taverna avrebbe “ucciso le vecchie e radicate abitudini del palato… la fine delle pietanze dell’Artusi”. La fine del “passatismo” per dirla con il loro linguaggio. 

Quando aprirono i battenti il locale si mostrò sorprendente: alluminio ovunque, grandi lampadari incastonati nelle pareti: tutto ad opera dell’architetto e pittore Nicolay Diulgheroff. Il cibo servito fu all’altezza delle aspettative: Antipasto Intuitivo, Aerovivanda, Carneplastico, Equatore+Polo Nord, Ultravirile… Insomma la summa della cucina futurista così come sarebbe stata poi espressa nel Manifesto della Cucina Futurista, del 1932.

Nella Taverna trovarono spazio anche altre sperimentazioni dinamiche: la carta vetrata da accarezzare durante il pasto (Aerovivanda), musica cacofonica, l’accostamento di sapori incongrui, il richiamo continuo a simboli virili. Ma soprattutto colpì la totale mancanza della pastasciutta, vero e proprio feticcio del “passatismo” da distruggere. “Assurda religione gastronomica italiana”. Troppo pesante e voluminosa per la velocità e il dinamismo della vita moderna (che sarebbe dovuta venire, sia detto però: l’Italia era un Paese agricolo!) celebrati dai Futuristi nella poesia (“Zang Tum Tum” di Marinetti per esempio), nell’arte, nella vita sociale. 

L’abolizione della Pasta era stata già annunciata nel 1930 proprio da Filippo Tommaso Marinetti, il padre del Futurismo, e la Taverna del Santopalato ne divenne il megafono d’alluminio. 

Come fini lo sappiamo tutti anche senza saperlo. La Taverna chiuse nel 1940 per “problemi economici”, la cucina futurista fu un fenomeno curioso, più volte evocato ma irrilevante. E la pastasciutta continua ad essere uno dei simboli dell’Italia gastronomica.

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Riccardo Milan

Riccardo Milan è professore, giornalista e blogger. Lavora alla scuola alberghiera di Stresa ed è pubblicista dal 1999. Da meno, è blogger con Allappante.it. Si è occupato per anni di cultura materiale, studente, scrittore e docente: vino, birra, gastronomia, cucina per lo più tipica, storia delle tradizioni. Sommelier ed idrosommelier per diletto. Vive sul Lago d’Orta.

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Secondo Street View di Google al civico 2 di via Vanchiglia a Torino c’è un autorimessa, triste epilogo per il luogo che è stato la sede dell’unico ristorante futurista d’Italia: la Taverna del Santopalato. Un numero più in là, però, c’è un misterioso Clash Burger ed un altro civico ancora in là appare un ristorante etnico: il Warung Java Indonesian Food. E ancora a fianco un Bistrot & Beverage Panta Rei. Chiude la via il ristorante Locanda dell’Ultima Casa. Ma fermiamoci qui. Visto così, il luogo del più creativo ristorante degli anni Trenta appare disseminato di emuli, diversi, con diverse storie ma attecchiti nello stesso luogo.

Il luogo è quello in cui nel 1931 fu inaugurata con grande battage pubblicitario la Taverna che avrebbe trasformato Torino “nella culla di un altro Risorgimento italiano, quello gastronomico”. Un’attesa alimentata ad arte dai futuristi che erano bravi in questo. Secondo Fillia, al secolo Luigi Colombo, pittore e poeta, la Taverna avrebbe “ucciso le vecchie e radicate abitudini del palato… la fine delle pietanze dell’Artusi”. La fine del “passatismo” per dirla con il loro linguaggio. 

Quando aprirono i battenti il locale si mostrò sorprendente: alluminio ovunque, grandi lampadari incastonati nelle pareti: tutto ad opera dell’architetto e pittore Nicolay Diulgheroff. Il cibo servito fu all’altezza delle aspettative: Antipasto Intuitivo, Aerovivanda, Carneplastico, Equatore+Polo Nord, Ultravirile… Insomma la summa della cucina futurista così come sarebbe stata poi espressa nel Manifesto della Cucina Futurista, del 1932.

Nella Taverna trovarono spazio anche altre sperimentazioni dinamiche: la carta vetrata da accarezzare durante il pasto (Aerovivanda), musica cacofonica, l’accostamento di sapori incongrui, il richiamo continuo a simboli virili. Ma soprattutto colpì la totale mancanza della pastasciutta, vero e proprio feticcio del “passatismo” da distruggere. “Assurda religione gastronomica italiana”. Troppo pesante e voluminosa per la velocità e il dinamismo della vita moderna (che sarebbe dovuta venire, sia detto però: l’Italia era un Paese agricolo!) celebrati dai Futuristi nella poesia (“Zang Tum Tum” di Marinetti per esempio), nell’arte, nella vita sociale. 

L’abolizione della Pasta era stata già annunciata nel 1930 proprio da Filippo Tommaso Marinetti, il padre del Futurismo, e la Taverna del Santopalato ne divenne il megafono d’alluminio. 

Come fini lo sappiamo tutti anche senza saperlo. La Taverna chiuse nel 1940 per “problemi economici”, la cucina futurista fu un fenomeno curioso, più volte evocato ma irrilevante. E la pastasciutta continua ad essere uno dei simboli dell’Italia gastronomica.

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Riccardo Milan è professore, giornalista e blogger. Lavora alla scuola alberghiera di Stresa ed è pubblicista dal 1999. Da meno, è blogger con Allappante.it. Si è occupato per anni di cultura materiale, studente, scrittore e docente: vino, birra, gastronomia, cucina per lo più tipica, storia delle tradizioni. Sommelier ed idrosommelier per diletto. Vive sul Lago d’Orta.