Agricoltura in ginocchio: rilasciati 2,5 milioni di metri cubi d’acqua al giorno

Il Piemonte ha tutti i requisiti per ottenere lo stato di emergenza. Il percorso deve essere affiancato a quello relativo alla richiesta dello stato di calamità per l’agricoltura

Le piogge di ieri non hanno portato sollievo alla situazione di grave siccità che sta colpendo tutto il Piemonte, in particolare il novarese e le sue colture (in foto una risaia in disseccamento). Dalla ricognizione effettuata dalla Regione, i concessionari dei bacini idroelettrici hanno dato la propria disponibilità a rilasciare per l’agricoltura circa 2,5 milioni di metri cubi d’acqua al giorno, come quota massima che consente di non intaccare i contratti delle forniture di energia in essere, avendo loro stessi al momento solo il 50% in media delle normali riserve.

Nel pomeriggio, intanto si è svolto a Roma l’incontro tra la Conferenza delle Regioni e il Capo Dipartimento per affrontare il tema dell’emergenza idrica dopo la richiesta dello stato di emergenza per siccità, avanzata dal Piemonte per prima in Italia e seguita da tutte le regioni del Nord.

«Dall’incontro di ieri a Roma con il Capo Dipartimento della Protezione Civile, Fabrizio Curcio – commentano il presidente della Regione Alberto Cirio e gli assessori alla Difesa del Suolo, Marco Gabusi, all’Ambiente, Matteo Marnati, e all’Agricoltura, Marco Protopapa – è stato riconosciuto che il Piemonte, che versa in condizioni difficili soprattutto dal punto di vista idropotabile, ha tutti i requisiti per ottenere lo stato di emergenza. Un primo step del percorso di una programmazione più articolata da parte dei Ministeri, che possa prevedere anche interventi infrastrutturali di urgenza, talvolta già pronti a livello progettuale e che potrebbero beneficiare di deroghe specifiche per una realizzazione immediata. La Regione procederà perciò a una ricognizione urgente delle infrastrutture per individuare quelle progettualità che possono essere avviate subito per potenziare e rafforzare la rete idrica e mitigare l’emergenza».

La necessità più immediata è la possibilità per la Regione di decidere come utilizzare i bacini idrici, il Lago Maggiore e il Lago di Garda. Bacini che sono dei concessionari, ma che la dichiarazione dello Stato di Emergenza e una figura commissariale che ragiona in termini nazionali possono sbloccare per dare acqua alle nostre coltivazioni e agli allevamenti.

«La priorità va all’uso idropotabile a scopo igienico e domestico, ma è importante considerare che certi territori, specie a cavallo tra Piemonte e Lombardia, hanno una particolare specificità agricola e la gestione delle risorse in maniera oculata per 10-15 giorni può consentire di mitigare il danno e consentire almeno il primo raccolto – proseguono governatore e assessori -. Il percorso dello stato di emergenza deve, perciò, essere affiancato a quello relativo alla richiesta dello stato di calamità per l’agricoltura e dovrà contenere le misure di ristoro per le spese sostenute dai Comuni e per quegli interventi in grado di mitigare il fenomeno, fino ai danni dovuti all’uso di autobotti, ma anche per gli interventi infrastrutturali da realizzare rapidamente».

Il Capo Dipartimento della Protezione civile, infine, ha recepito la necessità di inglobare nel ragionamento complessivo anche la specificità di alcune colture, nella consapevolezza che le analisi vanno fatte puntualmente sui territori e non solo in modo generalizzato da Roma. Il caso della coltura del riso è, in questo senso, emblematico, dal momento che è idrodipendente e rappresenta la quasi totalità della produzione nazionale.

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Il Piemonte ha tutti i requisiti per ottenere lo stato di emergenza. Il percorso deve essere affiancato a quello relativo alla richiesta dello stato di calamità per l’agricoltura

Le piogge di ieri non hanno portato sollievo alla situazione di grave siccità che sta colpendo tutto il Piemonte, in particolare il novarese e le sue colture (in foto una risaia in disseccamento). Dalla ricognizione effettuata dalla Regione, i concessionari dei bacini idroelettrici hanno dato la propria disponibilità a rilasciare per l’agricoltura circa 2,5 milioni di metri cubi d’acqua al giorno, come quota massima che consente di non intaccare i contratti delle forniture di energia in essere, avendo loro stessi al momento solo il 50% in media delle normali riserve.

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«Dall’incontro di ieri a Roma con il Capo Dipartimento della Protezione Civile, Fabrizio Curcio – commentano il presidente della Regione Alberto Cirio e gli assessori alla Difesa del Suolo, Marco Gabusi, all’Ambiente, Matteo Marnati, e all’Agricoltura, Marco Protopapa – è stato riconosciuto che il Piemonte, che versa in condizioni difficili soprattutto dal punto di vista idropotabile, ha tutti i requisiti per ottenere lo stato di emergenza. Un primo step del percorso di una programmazione più articolata da parte dei Ministeri, che possa prevedere anche interventi infrastrutturali di urgenza, talvolta già pronti a livello progettuale e che potrebbero beneficiare di deroghe specifiche per una realizzazione immediata. La Regione procederà perciò a una ricognizione urgente delle infrastrutture per individuare quelle progettualità che possono essere avviate subito per potenziare e rafforzare la rete idrica e mitigare l’emergenza».

La necessità più immediata è la possibilità per la Regione di decidere come utilizzare i bacini idrici, il Lago Maggiore e il Lago di Garda. Bacini che sono dei concessionari, ma che la dichiarazione dello Stato di Emergenza e una figura commissariale che ragiona in termini nazionali possono sbloccare per dare acqua alle nostre coltivazioni e agli allevamenti.

«La priorità va all’uso idropotabile a scopo igienico e domestico, ma è importante considerare che certi territori, specie a cavallo tra Piemonte e Lombardia, hanno una particolare specificità agricola e la gestione delle risorse in maniera oculata per 10-15 giorni può consentire di mitigare il danno e consentire almeno il primo raccolto - proseguono governatore e assessori -. Il percorso dello stato di emergenza deve, perciò, essere affiancato a quello relativo alla richiesta dello stato di calamità per l’agricoltura e dovrà contenere le misure di ristoro per le spese sostenute dai Comuni e per quegli interventi in grado di mitigare il fenomeno, fino ai danni dovuti all’uso di autobotti, ma anche per gli interventi infrastrutturali da realizzare rapidamente».

Il Capo Dipartimento della Protezione civile, infine, ha recepito la necessità di inglobare nel ragionamento complessivo anche la specificità di alcune colture, nella consapevolezza che le analisi vanno fatte puntualmente sui territori e non solo in modo generalizzato da Roma. Il caso della coltura del riso è, in questo senso, emblematico, dal momento che è idrodipendente e rappresenta la quasi totalità della produzione nazionale.

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