‘Amate chi vi ha fatto del male’. Sono ancora le parole di Gesù, dopo la preghiera del Padre Nostro recitata dai superbi, ad indicare il culmine della morale cristiana: dopo l’umiltà l’amore, quello misericordioso e gratuito, che è negazione dell’invidia.

Il paesaggio della seconda cornice del Purgatorio è funzionale a riconoscere il peccato che qui si espia: il luogo è deserto e gelato, la costa e la via appaiono ‘col livido color de la petraia’, perché il freddo, l’isolamento e la durezza sono caratteri propri dell’invidia. E così al gelo del cuore subito Virgilio oppone un’invocazione al sole: ‘Tu scaldi il mondo, tu sovr’esso luci’, affinché mostri la strada.

Se il peccato genera odio, i penitenti suscitano orrore e pietà: sono ammassati e accostati alla parete, da cui a mala pena si distinguono, con i loro abiti di ‘vil cilicio’, una stoffa ruvida e pungente simile alla roccia nel colore; si appoggiano l’uno all’altro, hanno le palpebre cucite da fil di ferro e i loro gesti ricordano quelli di mendicanti ciechi che sollevano il mento con gli occhi vuoti.

Eppure il calore di quel sole invocato da Virgilio è già strumento di salvezza, ravvisabile proprio nella condizione degli spiriti: alla vista supplisce la voce, con cui cantano le litanie dei santi; alla solitudine, derivante dal compiacimento per l’altrui sconfitta, si sostituisce il sostegno reciproco seduti spalla a spalla.

Anche l’invidia come la superbia crea un muro nelle relazioni e rende misera la vita, al punto da costringere poi a mendicare gli affetti. Poveri nella loro vita spirituale sono gli invidiosi, perché privi della ricchezza di saper amare, chiusi nella loro meschinità, che ha ignorato le necessità degli altri: non hanno visto, perché non sopportano di vedere il bene altrui.

‘L’orribile costura’, la sutura delle palpebre delle anime espianti, è una delle pene fisiche più terribili del Purgatorio: unisce la sofferenza, la compassione e il difficile cammino di questi penitenti, al termine del quale vedranno l’abbagliante splendore di Dio.

Monsignor Gianfranco Ravasi ci spiega che l’invidia è sposa della superbia, ha per sorella la gelosia e per figlia l’infelicità.

Nel nostro piccolo mondo fatto di molta apparenza non possiamo nemmeno millantare il fascino di Lucifero, creatura superba e invidiosa per eccellenza.

Siamo soltanto per lo più narcisi e altezzosi, strenui difensori di banali opinioni come fossero l’unica verità possibile; pronti a godere del male degli altri, afflitti per una qualche felicità che non abbiamo, per un coraggio che ci manca e di cui ci consoliamo con il disprezzo.

[Immagine: G. Dorè, Illustrazione per il canto XIII del Purgatorio, 1861]

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Amate da cui male aveste

‘Amate chi vi ha fatto del male’. Sono ancora le parole di Gesù, dopo la preghiera del Padre Nostro recitata dai superbi, ad indicare il culmine della morale cristiana: dopo l’umiltà l’amore, quello misericordioso e gratuito, che è negazione dell’invidia.

Il paesaggio della seconda cornice del Purgatorio è funzionale a riconoscere il peccato che qui si espia: il luogo è deserto e gelato, la costa e la via appaiono ‘col livido color de la petraia’, perché il freddo, l’isolamento e la durezza sono caratteri propri dell’invidia. E così al gelo del cuore subito Virgilio oppone un’invocazione al sole: ‘Tu scaldi il mondo, tu sovr’esso luci’, affinché mostri la strada.

Se il peccato genera odio, i penitenti suscitano orrore e pietà: sono ammassati e accostati alla parete, da cui a mala pena si distinguono, con i loro abiti di ‘vil cilicio’, una stoffa ruvida e pungente simile alla roccia nel colore; si appoggiano l’uno all’altro, hanno le palpebre cucite da fil di ferro e i loro gesti ricordano quelli di mendicanti ciechi che sollevano il mento con gli occhi vuoti.

Eppure il calore di quel sole invocato da Virgilio è già strumento di salvezza, ravvisabile proprio nella condizione degli spiriti: alla vista supplisce la voce, con cui cantano le litanie dei santi; alla solitudine, derivante dal compiacimento per l’altrui sconfitta, si sostituisce il sostegno reciproco seduti spalla a spalla.

Anche l’invidia come la superbia crea un muro nelle relazioni e rende misera la vita, al punto da costringere poi a mendicare gli affetti. Poveri nella loro vita spirituale sono gli invidiosi, perché privi della ricchezza di saper amare, chiusi nella loro meschinità, che ha ignorato le necessità degli altri: non hanno visto, perché non sopportano di vedere il bene altrui.

‘L’orribile costura’, la sutura delle palpebre delle anime espianti, è una delle pene fisiche più terribili del Purgatorio: unisce la sofferenza, la compassione e il difficile cammino di questi penitenti, al termine del quale vedranno l’abbagliante splendore di Dio.

Monsignor Gianfranco Ravasi ci spiega che l’invidia è sposa della superbia, ha per sorella la gelosia e per figlia l’infelicità.

Nel nostro piccolo mondo fatto di molta apparenza non possiamo nemmeno millantare il fascino di Lucifero, creatura superba e invidiosa per eccellenza.

Siamo soltanto per lo più narcisi e altezzosi, strenui difensori di banali opinioni come fossero l’unica verità possibile; pronti a godere del male degli altri, afflitti per una qualche felicità che non abbiamo, per un coraggio che ci manca e di cui ci consoliamo con il disprezzo.

[Immagine: G. Dorè, Illustrazione per il canto XIII del Purgatorio, 1861]

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