Dopo tanti indizi sparsi qua e là nell’inferno e nel purgatorio, che hanno contribuito a creare un’aspettativa, l’apparizione di Beatrice nell’aldilà non può che avvenire in una scenografia spettacolare studiata nei minimi dettagli.
Dante è nella ‘divina foresta’ dell’Eden: piante investite da una lieve brezza che fa cadere i loro semi sulla Terra; le acque trasparenti dell’Eunoè, il fiume che rinnova la memoria del bene compiuto, e quelle del Lete che dona l’oblio del male. All’improvviso una luce sfolgorante attraversa questo giardino di ‘ineffabili delizie’ e cresce di intensità, mentre si diffonde una melodia dolcissima.
Avanzano sette candelabri luminosi, ventiquattro anziani vestiti di bianco, quattro animali adorni di foglie verdi; un carro trionfale tirato da un grifone, ai cui lati danzano tre donne vestite di bianco, rosso e verde, e altre quattro con abiti di porpora; altri sette personaggi chiudono questo corteo allegorico, che rappresenta attraverso i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento l’attesa e la venuta di Cristo.
Il poeta osserva stupefatto, sente che sta per accadere qualcosa, sente che la sua attesa è finita, e nessuno può dubitare che abbia a che fare con l’amore: non è casuale che uno dei ventiquattro seniori intoni ‘Veni, sponsa, de Libano’, un versetto del Cantico dei Cantici, un poema d’amore.
C’è una donna velata sul carro, ‘vestita di color di fiamma viva’, Dante non la vede distintamente, proprio come quando sorge il sole offuscato di bruma, ma sa che lei è lì; la sua forza di attrazione è un’ occulta virtù incomprensibile alla ragione, che gli attraversa il corpo e i suoi sensi ne sono travolti: ‘Men che dramma / di sangue m’è rimaso che non tremi: / conosco i segni de l’antica fiamma’.
Il poeta trema, cerca Virgilio, ma si accorge che è scomparso; piange smarrito e affranto; come se questo carico di emozioni non bastasse, ecco che risuona la voce di Beatrice: ‘Guardami in faccia, Dante, e preparati a piangere per ben altro dolore’.
Imperiosa, regale e autorevole (a Dante sembra un ammiraglio di una flotta che impartisce ordini ai suoi marinai) pronuncia parole severe e forti, rimproverando al poeta il traviamento morale dopo la morte di lei: non potrà bere l’acqua del Lete finché non avrà confessato apertamente le proprie colpe. Dante ha un nodo in gola e il gelo nel cuore; abbassa il volto verso l’acqua del fiume e, vedendosi riflesso, distoglie lo sguardo per la vergogna. È il suo vero purgatorio.
Confusione e paura a poco a poco si placano e la tensione si scioglie in lacrime e in sospiri: il poeta confessa di non aver saputo sfruttare al meglio le sue potenzialità, ammette lo smarrimento dei valori spirituali che lo ha condotto nella selva oscura, le attrattive del mondo terreno che lo hanno sedotto, quelle dei sensi e quelle della mente, tutto ciò che è breve, fallace e falso piacere: ciò che non dura, inganna e illude, perché non sazia la brama infinita dell’uomo.
Solo dopo la contrizione del cuore, Beatrice può finalmente volgere ‘gli occhi santi’ al suo fedele, che per vederla ha mosso ‘passi tanti’: la bellezza della donna è uno ‘splendore di viva luce eterna’, non ha più nulla a che vedere con la fanciulla cantata nella ‘Vita nuova’.
Beatrice è ora messaggera divina di salvezza, la sua apparizione conferisce un significato sacro e universale alla vicenda personale degli uomini, ma per noi è la stessa donna vestita di rosso che ha fatto battere il cuore di un grande poeta, che si è messo in viaggio per incontrarla di nuovo.
Dante è ormai ‘puro e disposto a salire a le stelle’ e da lì in poi lui e Beatrice non si lasciano più.
[Immagine: Maestro senese, Il carro e la mistica processione, 1440-1450. Miniatura dal codice Yates Thompson, Londra]