A 700 anni dalla morte è più che mai valido il risultato degli insegnamenti trasmessi a Dante dal suo maestro Brunetto Latini: il poeta, immaginando di incontrarlo tra i violenti nel settimo cerchio dell’Inferno, ringrazia la “cara e buona imagine paterna”, per avergli insegnato “come l’uom s’etterna”. L’eredità di Dante ha continuato infatti a scavare nel corso dei secoli nelle nostre coscienze, ha saputo dare un senso ai problemi dell’uomo di ieri e di oggi; ma è soprattutto nella lingua che il suo lascito è prezioso: su circa 2000 parole che esprimono le nozioni fondamentali dell’italiano, circa 1800 si trovano in Dante e un gran numero di espressioni permane nel linguaggio comune senza che vengano percepite come citazioni letterarie: “tremar le vene e i polsi”, “a viso aperto”, “non mi tange”, “il gran rifiuto”.

Perciò, tra le tante proposte celebrative di quest’anno da parte delle Istituzioni culturali apprezzo quella dell’Accademia della Crusca, che pubblica ogni giorno sui profili social un’espressione tratta dalla Commedia, perchè attraverso la “Parola fresca di giornata” offre momenti di riflessione. Ogni singolo vocabolo, anche tolto dal contesto, invita ad una lettura inedita e mai superficiale di quanto accade e ci circonda. Il Sommo Poeta ha saputo creare una lingua ricca e densa di significati, in grado di accompagnarci a decifrare ogni angolo del mondo.

Ci fa entrare nelle mille sfumature dell’amore, “ch’a nullo amato amar perdona”, quello delicato e doloroso della “bella persona” di Francesca, o quello ardente di passione politica di Farinata, che ha l’inferno “a gran dispitto”. Ci offre i toni dell’incertezza di coloro, che come noi nel nostro annus horribilis, “son sospesi”; quelli della rabbia che si colora come gli “occhi di bragia” di Caronte. Ma soprattutto ci insegna, estasiandoci, a parlare come i bimbi, “con il pappo e il dindi”; invita ognuno di noi a farsi forza, “tetragono ai colpi di ventura”; ci abbassa al registro volgare dell’espressione tra le “minugia” dei dannati, che nel peccato hanno finito per “imbestiarsi”.

Ci delizia con “l’alluminare” delle splendide miniature medievali; ci innalza nel paradiso del linguaggio con le sue originali invenzioni, per dirci che l’amore, quello vero, obbliga a “intuarsi” e “inmiarsi”, e ci promette che un giorno riusciremo a “trasumanar”, a superare la nostra triste condizione. Nel frattempo però, ci precipita al livello più basso della nostra realtà, nella “merda” di queste giornate confuse, spesso graffiati dalle “unghie merdose” di chi fa scempio del “bel paese dove il sì suona”.

[Per la citazione di Brunetto Latini: “Inferno” XV, 83 – 85]

[Immagine: Domenico di Michelino, Dante e il suo poema. Firenze, Santa Maria del Fiore, 1465]

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Dante, parlaci ancora

A 700 anni dalla morte è più che mai valido il risultato degli insegnamenti trasmessi a Dante dal suo maestro Brunetto Latini: il poeta, immaginando di incontrarlo tra i violenti nel settimo cerchio dell’Inferno, ringrazia la “cara e buona imagine paterna”, per avergli insegnato “come l’uom s’etterna”. L’eredità di Dante ha continuato infatti a scavare nel corso dei secoli nelle nostre coscienze, ha saputo dare un senso ai problemi dell’uomo di ieri e di oggi; ma è soprattutto nella lingua che il suo lascito è prezioso: su circa 2000 parole che esprimono le nozioni fondamentali dell’italiano, circa 1800 si trovano in Dante e un gran numero di espressioni permane nel linguaggio comune senza che vengano percepite come citazioni letterarie: “tremar le vene e i polsi”, “a viso aperto”, “non mi tange”, “il gran rifiuto”. Perciò, tra le tante proposte celebrative di quest’anno da parte delle Istituzioni culturali apprezzo quella dell’Accademia della Crusca, che pubblica ogni giorno sui profili social un’espressione tratta dalla Commedia, perchè attraverso la “Parola fresca di giornata” offre momenti di riflessione. Ogni singolo vocabolo, anche tolto dal contesto, invita ad una lettura inedita e mai superficiale di quanto accade e ci circonda. Il Sommo Poeta ha saputo creare una lingua ricca e densa di significati, in grado di accompagnarci a decifrare ogni angolo del mondo. Ci fa entrare nelle mille sfumature dell'amore, “ch’a nullo amato amar perdona”, quello delicato e doloroso della “bella persona” di Francesca, o quello ardente di passione politica di Farinata, che ha l'inferno “a gran dispitto”. Ci offre i toni dell'incertezza di coloro, che come noi nel nostro annus horribilis, “son sospesi”; quelli della rabbia che si colora come gli “occhi di bragia” di Caronte. Ma soprattutto ci insegna, estasiandoci, a parlare come i bimbi, “con il pappo e il dindi”; invita ognuno di noi a farsi forza, “tetragono ai colpi di ventura”; ci abbassa al registro volgare dell'espressione tra le “minugia” dei dannati, che nel peccato hanno finito per “imbestiarsi”. Ci delizia con “l'alluminare” delle splendide miniature medievali; ci innalza nel paradiso del linguaggio con le sue originali invenzioni, per dirci che l'amore, quello vero, obbliga a “intuarsi” e “inmiarsi”, e ci promette che un giorno riusciremo a “trasumanar”, a superare la nostra triste condizione. Nel frattempo però, ci precipita al livello più basso della nostra realtà, nella “merda” di queste giornate confuse, spesso graffiati dalle “unghie merdose” di chi fa scempio del “bel paese dove il sì suona”. [Per la citazione di Brunetto Latini: “Inferno” XV, 83 - 85] [Immagine: Domenico di Michelino, Dante e il suo poema. Firenze, Santa Maria del Fiore, 1465]

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